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Silvio sotto alla Camera Vuole arrivare a gennaio

Il governo ko sul resoconto di bilancio. Riferirà a Montecitorio giovedì, mentre il voto di fiducia è atteso per il giorno successivo

Lucia Esposito
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Il premier, Silvio Berlusconi, ha reso noto che riferirà alla Camera giovedì. Il voto di fiducia, presumibilmente, si terrà venerdì. Segue l'articolo di Fausto Carioti. «Ho visto con i miei occhi alcuni dei nostri uscire dall'aula al momento del voto». Quando un deputato pidiellino di alto rango, subito dopo la mazzata, dice queste parole a Silvio Berlusconi, il premier tace e il suo volto si fa ancora più livido. Non che si stupisca chissà quanto: se ha deciso di rischiare la faccia andando a Montecitorio per partecipare a una “normale” votazione è proprio perché gli avevano detto che i tempi sono maturi. Non per un ribaltone: alternative al Cavaliere e all'attuale maggioranza ancora non se ne vedono. Ma per un'imboscata letale, quello sì. Tanto che poco prima il premier aveva deciso di congelare la legge che vieta la pubblicazione delle intercettazioni: l'argomento è incandescente, inutile rischiare la pelle. Il patatrac c'è stato lo stesso, anche se su un provvedimento politicamente poco importante. Ma il significato è chiaro a tutti. Tanto da spingere Roberto Formigoni, pidiellino eretico, ad avvisare subito i suoi: «Vogliono fare cadere il governo, prepariamoci». Persino Antonio Di Pietro, l'alter ego del Cavaliere, a bocciatura del governo consumata scopre di avere davanti a sé l'abisso: «Come faccio a fare questo mestiere se non c'è più Berlusconi?». E mentre pronuncia questa frase è terribilmente serio. Il Cavaliere riparte da qui. C'è un nemico inafferrabile che minaccia di disarcionarlo per l'ultima volta. Certo, esiste il problema Giulio Tremonti: ieri il ministro dell'Economia non ha votato - ufficialmente per motivi tecnici - l'articolo 1 del rendiconto generale dello Stato, che è come se Sergio Marchionne si rifiutasse di firmare il bilancio della Fiat. La sua assenza è stata decisiva. «Spero che adesso ti dimetterai», sibila Berlusconi passando stizzito vicino a Tremonti, senza però degnarlo di uno sguardo. Poco dopo si sfoga con i suoi, e l'argomento è sempre il ministro. «Quello era in aula, non ha votato di proposito». Dopo, realista, ammetterà: «Magari il problema fosse solo lui». Invece l'elenco è lungo. C'è Claudio Scajola, con il quale il colloquio di qualche ora prima a palazzo Grazioli è andato decisamente male. L'ex ministro vuole il segno tangibile della stima di Berlusconi. Perché non ha un posto di comando nel partito? «Silvio, guarda che non sto scherzando. Su questa storia mi gioco la faccia». La conferma arriva poche ore dopo: al momento del voto Scajola non si presenta. E fa mancare alcuni dei suoi. C'è pure Umberto Bossi, nel fitto cahier de doléances del premier. Il leader della Lega non riesce ad arrivare al banco in tempo per votare, e tanto per cambiare Berlusconi è convinto che dietro ci sia lo zampino di Tremonti. E poi, onnipresenti, ci sono i magistrati. Nel gruppo dei deputati del Pdl, infatti, figura ancora Alfonso Papa. Il quale però dal 20 luglio è rinchiuso a Poggioreale. Così la maggioranza affronta ogni votazione con un uomo in meno. Berlusconi ne è convinto: «È una porcheria, me l'hanno fatto apposta». Ma Papa aveva una buona scusa, gli altri no, e il premier vuole conoscere le ragioni di tutti gli assenti ingiustificati. Intanto, però, declassa il voto di ieri a «problema tecnico che possiamo risolvere». E non molla. Il ritornello è il solito: «Mi sfiducino, se ne hanno la forza». Non è una cosa molto diversa da quella che già oggi dovrebbe chiedergli Giorgio Napolitano: se il governo vuole andare avanti deve avere il consenso del Parlamento. Così l'esecutivo si prepara a mettere la fiducia dinanzi all'aula di Montecitorio su un nuovo provvedimento, formulato per approvare l'articolo bocciato ieri. Sinora le votazioni cruciali hanno arriso al Cavaliere, ma ogni volta lo stillicidio è ricominciato. Tale e quale, anzi peggiore: dopo l'estate il governo è stato battuto già undici volte. Così nella testa di Berlusconi prende corpo l'idea di trasformare la batosta nel rilancio dell'esecutivo. E spunta una strategia massimalista: chiedere la fiducia su un ambizioso programma di fine legislatura. Pochi punti, di quelli tosti: riforma della giustizia, nuova legge elettorale, accompagnata magari da una riforma istituzionale, un provvedimento che faccia ripartire l'economia («scritto da me, non da Tremonti», assicurava ieri sera ai suoi). Nemmeno l'ipotesi di un rimpasto viene scartata dal premier, in modo da sistemare allo stesso tempo il partito e il governo. Se funziona, bene. Sennò, tutti alle urne in primavera. Con l'attuale sistema elettorale. Lo scatto d'orgoglio è quello che gli suggeriscono i suoi consiglieri. «Silvio è un matto se fa finta di niente dopo quello che è accaduto», dice a Libero uno di loro. «Deve andare davanti ai deputati e chiedere un voto di fiducia a c… dritto. Nessun parlamentare si prende la responsabilità diretta di far cadere l'esecutivo. Ma molti sono tentati dall'idea dell'imboscata, dell'incidente che seppellisce il governo. Se avvenisse oggi si aprirebbe un processo in grado di portare a un governo di larghe intese. Napolitano non avvallerebbe mai una cosa simile avendo contro il PdL e la Lega. Ma se una parte consistente del PdL si staccasse, allora tutto cambierebbe». Così Berlusconi cerca un'iniziativa forte per riprendere le redini del partito e della maggioranza. Oggi o domani, in Parlamento, illustrerà il suo “nuovo” programma e su di esso chiederà la fiducia. di Fausto Carioti

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