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Fini e Casini, solo un'altra sconfitta

Zero titoli. Il Terzo polo ha fatto di tutto per far mancare il numero legale: blitz fallito. Decisivo il 'responsabile' Pisacane

Andrea Tempestini
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Bastava guardare la faccia di Gianfranco Fini quando hanno fatto il loro ingresso in aula i deputati radicali sullo scadere della prima chiama per il voto di fiducia al governo per capire tutto. O quanto meno, per nutrire qualche ragionevole sospetto. Nel Pdl, e non solo, sono in molti ad attribuire al presidente della Camera, nonché leader di Fli, la regia del tentato sabotaggio del numero legale, che avrebbe decretato la fine del governo. Un obiettivo al quale ha dato il suo contributo anche il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, «con lo zampino di Roberto Giachetti», confida un deputato ex An. Fini, riferiscono alcuni parlamentari del Pdl, ha dato ordine ai suoi di presentarsi in aula solo alla seconda chiama, nel caso ci fosse stato il numero legale: ipotesi che le opposizioni escludevano quasi del tutto. Stesso piano del Pd e dell'Udc. Casini, però, ha anche tentato di scippare deputati a Silvio Berlusconi. C'ha provato almeno con tre e ne ha portato a casa uno. Il parlamentare che il leader centrista ha  strappato alla maggioranza è Luciano Sardelli, deputato dei Responsabili. Anzi, “ex”, perché il suo capogruppo, Silvano Moffa, lo ha espulso dal gruppo per non aver votato la fiducia al governo. Era Sardelli a guidare i Responsabili alla Camera sino a giugno, quando ha dovuto cedere il posto al collega ex finiano. Cominciano così i suoi mal di pancia, che ieri sono degenerati nella fuoriuscita dalla maggioranza. Nell'ala destra del Transatlantico raccontano che è da giorni che Casini «marca a uomo» Sardelli. Eppure sembrava non averlo conquistato al Terzo Polo, perché ancora ieri mattina, stando sempre ai boatos della maggioranza, l'ex Responsabile aveva garantito il suo voto al premier, che lo aveva chiamato personalmente alle 7.30 per convincerlo a restare. Come? Nel Pdl si dice che Sardelli avesse chiesto di entrare nel consiglio d'amministrazione di un'Authority come contropartita, suscitando l'indignazione di Gianni Letta. «Come facciamo, non ce ne sono in scadenza», aveva fatto notare il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, pur essendoci l'Authority delle Comunicazioni che scade il prossimo anno. Pare comunque che il Cav abbia promesso a Sardelli che lo avrebbe accontentato. Ma quest'ultimo ieri mattina è stato intercettato a colloquio con il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa. A quel punto, Sardelli ha dovuto ufficializzare la sua defezione dalla maggioranza con un comunicato, nel quale annunciava che non avrebbe votato la fiducia al governo. Cesa ieri mattina ha tentato di adescare anche Pippo Gianni e Michele Pisacane, gli ex centristi fuoriusciti dall'Udc assieme al ministro Saverio Romano. Li ha chiamati al telefono di buon'ora, ma i due gli hanno risposto picche. Pisacane sembrava averlo convinto, per la verità, perché questi era ancora assente a Montecitorio a dieci minuti dall'inizio della votazione. Sospetto che si è andato rafforzando nella prima chiama, alla quale Pisacane non ha votato. Ma, al secondo giro, ha risposto all'appello votando “sì”. Tra la prima e la seconda chiama si è consumato un siparietto in aula che ha fatto pensare fosse stato il premier ha persuaderlo. «Non è vero che mi ha convinto Berlusconi», giura Pisacane, «lui mi ha detto: “Se non eri presente perché eri a letto con una bella bionda, la tua è un'assenza giustificata”», racconta il deputato di Popolo e territorio, assicurando che sarebbe comunque andato a votare la fiducia. «Io voto sempre alla seconda chiama, lo faccio per scaramanzia», spiega, «l'ho fatto anche quando si votava la sfiducia al ministro Romano». Ma stavolta, oltre alla scaramanzia, c'era un'occasione d'oro: quella di strapparsi di dosso l'etichetta del peone. Quello di Pisacane, infatti, era il voto numero 316, che ha garantito al centrodestra la maggioranza assoluta. E ha strappato la rete di Pier. di Barbara Romano

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