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Manovra, Monti chiederà la fiducia

Il prof: "Non escludo niente". Ma è orientato a blindare il testo perché non si fida dei partiti. Poi annuncia: "Iter parallelo" per la riduzione dei costi della politica

Andrea Tempestini
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Fatta la manovra, resta da metterla in sicurezza. E Mario Monti non vuole correre rischi: per questo, il premier è orientato a fare ricorso alla fiducia per blindare il testo. L'ipotesi, che col passare delle ore si fa sempre più concreta, è stata fatta balenare dal capo del governo a più di un interlocutore politico nel corso delle consultazioni di questi giorni. E, per i rappresentanti di partito che se la sono sentita evocare, è stata una doccia fredda: tanto nel Pdl quanto nel Pd si sperava nel secondo tempo - quello parlamentare - della partita per mettere quanto possibile mano alla manovra onde ammorbidirne l'impatto sui rispettivi bacini elettorali. IL PROF NON SI FIDA Proprio lo scenario più temuto dal Professore, che magari non sarà il più navigato dei politici ma di certo conosce bene il significato dell'espressione “assalto alla diligenza”. Ed è pronto a tutto per scongiurare l'eventualità. Nel momento in cui il premier non dovesse sentirsi pienamente garantito dai partiti - e, viste le rilevanti fibrillazioni in corso, l'impressione è che nessuno sia in grado di promettere alcunché - allora la blindatura del testo sarebbe inevitabile. Il «non faccio previsioni e non escludo alcuna ipotesi, ma sono fiducioso» con cui ieri sera ha liquidato la domanda su cosa si aspetti dal Parlamento è indicativo di quanto poco credito Monti accordi ai partiti. Che il premier non sia propenso ad accettare modifiche alla manovra l'hanno capito anche i rappresentanti di parti sociali ed enti locali che sono stati convocati ieri a Palazzo Chigi per il secondo giro di consultazioni. Un tour de force che inizia poco dopo le nove del mattino e si protrae fino a metà pomeriggio, quando viene convocato il consiglio dei ministri per l'approvazione del pacchetto salva-Italia. Che - a dispetto di quanti si aspettavano una riunione breve e formale, due firme sotto la manovra e via - si protrae per quasi tre ore. All'ora di cena, il cdm approva finalmente il maxi-decreto contenente la manovra. A quel punto, si può passare all'ultima incombenza della giornata: la conferenza stampa per illustrare al popolo la cura da cavallo approntata dall'esecutivo. Davanti alle telecamere si presentano, oltre a Monti, Corrado Passera (Sviluppo economico), Elsa Fornero (Welfare), Piero Giarda (Rapporti col Parlamento) e Vittorio Grilli (viceministro all'Economia). La tensione è alle stelle: a consiglio dei ministri in corso è iniziata a circolare una bozza di manovra dai contenuti draconiani, e la smentita di prammatica di Palazzo Chigi non ha contribuito granché a calmare le acque. E adesso tutti pendono dalle labbra di Monti. Che, consapevole della solennità del momento, non usa giri di parole. «Il rischio», esordisce, «è di compromettere quanto costuito in sessant'anni di sacrifici» per colpa di un debito  che «è colpa degli italiani e non degli europei, colpa di chi in passato non ha pensato alle future generazioni». Da qui «il mandato di corta durata e di severo impegno» ricevuto dal governo «di aiutare l'Italia ad uscire da una crisi gravissima» con l'obiettivo di far sì che gli italiani «non siano più derisi come avvenuto in passato». FORZA ITALIA Tanta l'importanza del pacchetto che Monti propone per esso il più evocativo dei nomi: «Chiamatelo decreto salva-Italia». «Per certi aspetti», spiega, «dobbiamo tirare la cinghia ma mettiamo subito in atto meccanismi per la crescita». Perché non tutto è perduto: «L'Italia», afferma il Professore, «ha il potenziale per risolvere i problemi» e «con queste misure farà un grande passo in avanti». Nulla, però, motiva la cittadinanza come i tagli ai costi della casta. E qui Monti si gioca l'asso: «Chiediamo sacrifici ai cittadini», scandisce, «e da parte mia, mi è sembrato   doveroso, come atto di sensibilità individuale, rinunciare al   compenso da presidente  del Consiglio e come ministro   dell'Economia». Stipendio che «andrà allo Stato, che è un ente meritevole». Inoltre «i soggetti chiamati all'ufficio della presidenza del Consiglio, di ministro e sottosegretario per tutta la durata dell'incarico cessano da qualunque altro trattamento retributivo gravante sul bilancio dello Stato». E non è tutto: il premier Monti annuncia lo svuotamento delle Province, la riduzione delle poltrone nelle autorithy, l'avvio di un «iter parallelo» per la riduzione dei costi della politica perché sulla materia «si può fare molto di più». D'altronde, conclude Monti, «non è detto che sia finita qui la vita del nostro governo». E di quelli eventualmente successivi? «Se porterò a termine questo compito», si schermisce il Professore, « della politica ne avrò abbastanza». di Marco Gorra

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