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Umberto in ginocchio da Silvio: Non farci fuori

Il Senatùr incontra a cena Berlusconi: sul piatto un patto per le amministrative in cambio della tregua sulla riforma elettorale

Giulio Bucchi
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Il messaggio che Berlusconi ha voluto mandare a Bossi era chiaro. Tanto facile che una vecchia volpe della politica come il Senatur c'ha messo un attimo a decrittare. E a darsi una mossa. Il Cavaliere può continuare ad andare dietro alla Lega pregandola di rinsavire. E di mantenere vive le ragioni di un'alleanza perlomeno alle Amministrative. Oppure, ed è il discorso fatto a Libero, può anche decidere di stufarsi e guardare altrove. Al Partito democratico, con cui condivide il sostegno al governo Monti. Allo stato attuale delle cose, a Silvio viene più comodo fare un passo verso i democrats che una corsa  all'inseguimento della Lega. Solo suggestioni? Forse, chi lo sa. Il fatto è che Berlusconi ha ripreso in mano il mazzo: le carte le dà lui. Silvio è sicuro di una cosa. Che l'inadeguatezza dell'architettura istituzionale, il cui ventre molle è «un governo senza poteri», va di pari passo con una legge elettorale che non combatte la frammentazione della politica, ma   alimenta «il vizio degli italiani di disperdere il proprio voto». La cura va predisposta in blocco. Anzi, come spiega Fabrizio Cicchitto, la nuova forma di governo può venire addirittura prima dell'anti-Porcellum: «Per ragioni logiche, la riforma costituzionale  precede quella elettorale», spiega il capogruppo del Pdl alla Camera.    La mossa berlusconiana sortisce un  primo effetto. Dopo le dichiarazioni sarcastiche e le telefonate senza risposta,  ecco che si rifa vivo   Bossi. Ieri sera dicono che l'Umberto (ma da via Bellerio smentiscono) si sia palesato ad Arcore. All'ora di cena. Top secret il contenuto dell'incontro con Berlusconi, ma non difficile da intuire. In ballo ci sono le elezioni di primavera, si rinnovano molte amministrazioni locali del Nord e se Pdl e Lega non si apparentano, per il centrodestra diventa un bagno di sangue. Di contro, Silvio ha precisato che non c'è un vero intento punitivo nella scelta del nuovo sistema di voto. Ma la voglia di blindare il bipolarismo rendendo più rigide le alleanze di governo, pur riconoscendo la caratteristica territoriale di un partito come il Carroccio. Si studiano soluzioni. Oggi il Pdl comincia i tavoli bilaterali per trattare sulla legge elettorale. In mattinata la delegazione azzurra (Ignazio La Russa, Donato Bruno, Gaetano Quagliariello) vedrà  la Lega, nel primo pomeriggio il Partito democratico, con Luigi Zanda, Luciano Violante e Gianclaudio Bressa. Domani, invece, è in programma il faccia a faccia con il terzo polo.  Intanto il Cavaliere continua il suo programma di interviste con i media esteri al fine di restituire prestigio alla propria immagine internazionale. Questa con la rivista Internet americana The Atlantic non è che c'entri proprio l'obiettivo: «I'm not a Playboy, I'm a Play-uomo», gigioneggia Silvio, indugiando sul colore più che sul proprio ruolo di statista. Berlusconi racconta come il suo nipotino Lorenzo, a 4 anni, sia già un seduttore come il nonno; dice di apprezzare gli omosessuali («Più gay, meno competizione» con le donne); nega tutti gli scandali sessuali dando la colpa alle enfatizzazioni della stampa italiana («Cene normali, non mi devo scusare di nulla»). Silvio ripercorre poi la discesa in campo: «Ero l'imprenditore italiano più popolare, nei sondaggi avevo il 96 per cento di apprezzamento. Quando ho fondato il mio partito, è sceso al 50 per cento». Poi parla dell'Italia contemporanea: «Lo Stato è indebitato, ma i cittadini, le famiglie, le imprese sono ricche». Le dimissioni? «Sono state un mio fallimento e un fallimento degli italiani». Argomenta: «Mio, perché non sono stato capace di convincere il 51 per cento degli italiani a votare per me». Ma anche colpa dei connazionali, ribadisce, «che disperdono il voto». Il Pdl aveva il 38 per cento, ricorda, poi «ci siamo castrati» per colpa degli alleati: «Non mi hanno permesso di tagliare le tasse».    di Salvatore Dama

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