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Mutui e prestiti a imprese Banche non fanno credito

Sulle pmi pesa il credit crunch. E i 116 mld concessi dalla Bce non hanno indotto le banche a riaprire i rubinetti

Andrea Tempestini
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Un cane che si morde la coda: le piccole e medie imprese hanno enormi difficoltà ad accedere al credito, il loro rating scende, arriva il declassamento, le banche non sono più disposte a finanziarle e falliscono. I dati sono impietosi. Le stime del Centro Europa Ricerche annunciano che nel 2012 verranno meno 200 miliardi di impieghi, la Prometeia parla di 25mila imprese fallite e 625mila posti di lavoro bruciati. Numeri che vanno a braccetto con quelli Istat: negli ultimi due anni il 12 per cento delle pmi non ha ottenuto credito e il 33 ha visto lievitare le condizioni. Come si esce da tutto ciò? «Innanzitutto migliorando la comunicazione tra imprenditori e banche così da evitare il declassamento del rating», spiega Cesare Fumagalli, segretario generale Confartigianato. «È finito il tempo in cui l'opacità poteva premiare, ora il deficit di conoscenza è fatale. Più è trasparente l'azienda, più l'imprenditore si fa conoscere dalla banca, più possibilità ha di ottenere il credito. È un sistema ormai sperimentato con successo con il Programma Sos Impresa di Unicredit, che grazie a piccoli accorgimenti in tema di comunicazione (chi sono i fornitori, i clienti e via dicendo) ha permesso a 10.800 imprese di accedere alla ristrutturazione. Tutte aziende che sarebbero state sicuramente scartate». Quello del rating resta comunque un ostacolo enorme per le pmi italiane. «Il problema è che i parametri sono elaborati su scale grandi», continua Fumagalli, «e per i piccoli è praticamente impossibile essere accettati dal sistema». A sintetizzare il paradosso è Giuseppe Bortolussi, segretario generale della Cgia di Mestre. «Se si prendono le misure per un vestito a una persona di un metro e 80, non potrà mai andar bene a un'altra di 1,65. La storia del rating va bene per aziende strutturate; quando si parla di imprese con due persone non ha senso. Bisogna calibrare i parametri con la realtà». Quindi non c'è speranza?  «C'è eccome, ed è grazie ai tanti direttori di filiale di vecchio stampo che sono attenti al territorio e che fanno prestiti alle aziende di cui conoscono la storia e le esigenze. Perché se inserissimo soltanto i dati in un calcolatore la risposta sarebbe sempre negativa». La recente iniezione di liquidità della Bce - quasi 500  miliardi di euro, di cui 116 agli istituti italiani - aveva fatto sperare molti. Gli imprenditori immaginavano che i cordoni della borsa si sarebbero aperti e invece la situazione è rimasta praticamente invariata. «In realtà la maggior parte di quei soldi è  servita a ripianare i debiti delle tante banche che in passato hanno concesso credito anche in situazioni di incertezza», spiega Bortolussi. «Adesso si trovano la pancia piena di crediti inesigibili e tutto è bloccato». In questo modo, però, si resta immobili... «Partiamo da un assunto», puntualizza il segeretario della Cgia mestrina, «le banche sono diabolicamente essenziali perché senza di loro non ci sarebbe economia. Molti però dimenticano che sono procicliche, seguono cioè i cicli e si adeguano di conseguenza. Se il ciclo è negativo anche le banche lo saranno e tenderanno a non investire. Ma la colpa non è certo  delle pmi. I problemi li creano le grandi imprese che sono incapaci di resistere sul mercato. In tal senso è rappresentativo un dato: al 31 marzo 2011 il 78,8 per cento degli affidamenti stanziati è andato al primo 10% degli affidatari. Non solo, il 78,6 per cento delle sofferenze totali dei finanziamenti per cassa (in pratica i fidi, ndr), è in capo al 10% dei maggiori affidatari (che non è per forza il precedente 10%, ndr)». Nella nostra ultima intervista del 23 dicembre scorso, c'eravamo ripromessi di fare il punto a distanza di qualche mese. In che modo è cambiato il quadro? «Sicuramente in peggio», ammette il segretario della Cgia di Mestre. «La tanto attesa pioggia di soldi della Bce si è rivelata una delusione per i motivi che ho detto e in più abbiamo scoperto che il Paese è in recessione tecnica e l'economia reale non tira».  Sulla crescita del 3 per cento nelle erogazioni alle imprese, un dato che ha fatto dire a molti che il rischio delle stratta non c'è, bisogna fare una considerazione. «È un dato generale che non tiene conto dell'ultimo periodo», aggiunge sempre Bortolussi, «nei tre mesi finali la diminuzione è stata dell'1,5% e nel solo dicembre del 2,2. E per di più la maggior parte dei soldi è andata alle grandi imprese, non certo alle pmi». di Salvatore Garzillo

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