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Terzi è il professor disastro: badante pronto per il ministro

Il premier Monti è stanco dei troppi errori del suo uomo: pensa ad affiancargli un sottosegretario. Lui se la prende con l'aula

Andrea Tempestini
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Mario Monti guarda al mercato di riparazione: la squadra della Farnesina ha problemi di panchina corta e l'ipotesi di rinforzare la rosa si va facendo sempre più concreta. Fuor di metafora, il premier sta seriamente pensando di nominare  un nuovo sottosegretario al ministero degli Esteri. L'idea è ancora allo stato embrionale, e le considerazioni da cui è nata sono di duplice natura. La prima è quella relativa all'organico. Attualmente i membri del governo in servizio alla Farnesina sono tre: il ministro Giulio Terzi di Sant'Agata ed i sottosegretari Staffan De Mistura e Marta Dassù. Per un ministero del calibro degli Esteri, si tratta di una delegazione  all'osso. I fronti da coprire sono un'infinità, e con due sottosegretari soli è dura. Basti vedere la situazione attuale: De Mistura è in India per la questione dei marò (e, tra un rinvio e l'altro dei tribunali locali, rischia di rimanerci chissà quanto), mentre la Dassù si sta sobbarcando l'ingente lavoro che viene dal versante parlamentare. Dovesse succedere in qualunque parte del mondo qualcosa di necessitante presenza governativa italiana, semplicemente non si saprebbe chi mandare. Che l'assetto attuale non sia sostenibile lo dimostra anche il raffronto con la consuetudine: tradizionalmente le deleghe per i sottosegretari agli Esteri sono cinque (il criterio, assai di massima, è una per continente) e già la dotazione di personale destinata alla Farnesina dall'ultimo governo Berlusconi (il ministro Franco Frattini e i tre sottosegretari Stefania Craxi, Alfredo Mantica e Vincenzo Scotti) si segnalava per  esiguità. Il secondo ordine di considerazioni è, invece, più strettamente politico ed investe l'operato di Terzi di Sant'Agata. Che l'ex ambasciatore a Washington si stia dimostrando tra i meno performanti dei ministri è opinione che, a diversi livelli, inizia a trovare una certa condivisione. La gestione ministeriale dei dossier più recenti - Urru, marò, Lamolinara - è parsa non ottimale. L'atteggiamento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si è intestato la protesta politico-diplomatica per il blitz inglese in Nigeria, è stato letto da più parti come un gesto quasi di supplenza. Così come non è sfuggita l'assenza di Terzi di Sant'Agata al vertice tenutosi venerdì sera al Quirinale tra Napolitano e Monti per fare il punto della situazione al termine della prima giornata di tensioni sull'asse Roma-Londra. Che un incontro di tale delicatezza si svolga senza il ministro competente è un segnale che appare inequivocabile. A dare retta a Radio-Palazzo ci sarebbe persino chi sta pensando a sostituire il ministro. L'ipotesi, ancorché suggestiva, è però profondamente irrealistica. Intanto perché, specie nella non semplicissima contingenza attuale, la sostituzione di qualunque membro dell'esecutivo avrebbe elevatissime probabilità di produrre un effetto domino dagli effetti potenzialmente esiziali per la sopravvivenza del governo. E poi perché, più banalmente, finché Terzi di Sant'Agata mantiene la copertura politica di Gianfranco Fini (in quota al quale è entrato al governo e che ancora ieri è tornato a prenderne le difese) la sua rimozione, semplicemente, non è un'opzione. L'operazione sottosegretario, dunque. Sulla quale, innanzitutto, si intravedono le possibilità di un via libera dai partiti. Che sia necessario un tagliando alla politica estera è fuor di dubbio: lo stesso Frattini ha proposto un «tavolo di consultazione permanente» sul tema, e in politica ciò che si scrive «tavolo di consultazione» si legge «parliamone». Non che ciò costituisca un avallo preventivo dell'ipotesi sottosegretario (le opzioni sono molteplici), ma il segnale c'è. Nonostante il tutto sia al caro amico, girano già i primi nomi. Niente parlamentari, per ovvi motivi. E niente diplomatici: qui i nomi di peso ci sarebbero, da Antonio Puri Purini a Giancarlo Aragona. Solo, c'è un problema con i ruoli. I diplomatici in questione sono andati in pensione col titolo di ambasciatore, risultando pertanto gerarchicamente superiori a Terzi che in pensione ancora non è. E difficilmente accetterebbero di venire subordinati in qualità di sottosegretari ad un ministro più giovane. Quanto a papabili, dunque, restano i tecnici. Si fanno i nomi del direttore dell'Istituto affari internazionali Stefano Silvestri, dei professori della Sapienza Paolo Guerrieri e Gianluigi Rossi, del direttore di Limes Lucio Caracciolo e del generale Vincenzo Camporini. E Terzi? Per ora, continua a tradire un certo nervosismo. Reduce dal tesissimo botta e risposta di venerdì con Bobo Maroni («Si dimetta»; «Pensi ai guai della Lega»), ieri ha alzato il tiro prendendosela col Parlamento in blocco: «Alla Farnesina», ha attaccato, «trattiamo questi casi con la profonda consapevolezza dei rischi che corrono i nostri connazionali. E non accettiamo che diventino un elemento delle quotidiane illazioni o diatribe che ogni tanto si sviluppano nel nostro Paese». In altri tempi, si sarebbe gridato al bavaglio. di Marco Gorra

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