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Il ministro della famiglia? No Si occupa soltanto dei rom

Un uomo nel posto sbagliato. Su 37 interventi pubblici, 18 sugli immigrati. Solo due volte ha parlato di genitori e figli. Deve rinunciare alle deleghe

Andrea Tempestini
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Fate la prova col vostro vicino di casa. Chiedetegli chi era il ministro della Famiglia del governo Berlusconi. Se non è appena uscito da un'astronave atterrata a villa Borghese come il marziano di Ennio Flaiano, vi farà il nome di Carlo Giovanardi. Il ministro della Famiglia del governo Prodi? Facile anche questa: Rosy Bindi. E nel governo Monti, chi ricopre quell'incarico? Se non lo avete chiesto a un addetto ai lavori, assisterete alla scena muta. In alternativa, vi sarà risposto che il professor Monti ha ridotto i dicasteri all'osso e che nella sobria compagine governativa dei professori non c'era spazio per un ministro della Famiglia. Sbagliato. Il ministro in questione c'è. E' – anzi, sarebbe - Andrea Riccardi. Solo che non se ne è accorto nessuno. Tutti (incluso il sito del governo) definiscono Riccardi “ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione”. Lui stesso non fa molto per ricordare le altre competenze. Che però non sono poche: Riccardi ha anche le deleghe per la Famiglia, la Gioventù, le Politiche antidroga, il Servizio civile, le Adozioni internazionali e le Antidiscriminazioni razziali. In sostanza il fondatore di Sant'Egidio ha i poteri che nel passato governo spettavano a Giovanardi, a Mara Carfagna e a Giorgia Meloni, oltre alle deleghe pesanti (con relativo portafoglio) sottratte al Viminale (Integrazione) e alla Farnesina (Cooperazione). Il punto è che tutti questi dossier non hanno pari interesse per Riccardi. Alcuni, quelli che riguardano l'immigrazione, sono per lui importantissimi. Altri sono palesemente ignorati. E' lo stesso sito del governo al quale Riccardi affida tutti i propri interventi (cooperazioneintegrazione.gov.it) a rendere evidente il distacco. Nei 128 giorni trascorsi dal 25 novembre a oggi si contano 37 atti pubblici del ministro. Diciotto, ovvero oltre la metà di questi, riguardano il tema dell'integrazione degli immigrati (e in parte quello, correlato, del razzismo): sono le tantissime volte in cui Riccardi parla di rom, sinti, senegalesi e permessi scaduti. Sette volte è intervenuto a proposito di cooperazione internazionale. Quattro volte ha preso parola in occasione di celebrazioni contro il razzismo, come il Giorno della Memoria. Altre tre volte è stato protagonista in proprio, ritirando premi per la pace o intervenendo per difendere Mario Monti dalle aggressioni verbali di Umberto Bossi. E le altre deleghe? Briciole. Una volta ha speso parole per i giovani (ammesso che possa considerarsi tale la sua uscita contro il gioco d'azzardo), due volte ha difeso il servizio civile, due volte ha promesso che avrebbe fatto qualcosa per la famiglia. Proprio questa appare la grande dimenticata: Riccardi, che con cadenza plurisettimanale fa sapere il suo pensiero su un tema importante come l'immigrazione, si ricorda delle famiglie italiane una volta ogni 64 giorni. Un po' poco. Eppure tra aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità, rincari delle bollette e continui inasprimenti del carico fiscale, le famiglie di un Paese col tasso di fertilità tra i più bassi del mondo - e proprio per questo sempre più anziano - meriterebbero qualcuno in grado di formulare proposte efficaci in materia di coefficienti familiari, detrazioni, deduzioni e ogni altro strumento utile a dare loro ossigeno. Qualcuno che sappia rappresentarle e difenderle, anche dinanzi agli altri ministri. La soluzione non pare difficile: Riccardi continui a seguire le politiche per l'immigrazione e la cooperazione, argomento importante e nobile che giustamente lo appassiona. Ma lasci le altre deleghe, a partire da quella per la famiglia, a chi ci crede e intende lavorarci a tempo pieno. Riccardi, che se ne occupa con cadenza bimestrale, non può essere la persona giusta. di Fausto Carioti

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