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Paragone: Ecco il Carroccio di Maroni nome per nome

Senatùr archiviato, Triumvirato già ko. Bobo prende il comando con i suoi fedelissimi: Tosi, il sindaco di Varese Fontana, Matteo Salvini

Giulio Bucchi
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Se la Lega riparte dalla manifestazione di Bergamo e sul podio fa parlare solo Roberto Maroni (il discorso di Bossi era scontato), allora un elemento lo possiamo dare per assodato: il triumvirato era un paravento di cartone e il Bobo, nei fatti, è il nuovo capo. Il resto fa volume. Il congresso prossimo venturo servirà a ratificare quel che la base ha già annunciato a furor di popolo e che gli altri dirigenti, volenti o nolenti, stanno digerendo. Calderoli e la Dal Lago, gli altri due triumviri, dovevano servire per evitare lo scollamento delle altre anime e salvaguardare cerchisti e famiglia. Almeno così l'aveva pensata Bossi nel famoso federale in cui s'era presentato dimissionario. Il trambusto fuori da via Bellerio contro Maroni, però, ha rimescolato le carte: la regia dell'imboscata ai danni dell'ex uomo del Viminale (Maroni come Giuda, Maroni traditore) sarebbe del vecchio capogruppo lumbard alla Camera, Marco Reguzzoni. A guidare il gruppetto c'erano la sorella di Reguzzoni e il segretario provinciale di Varese, il reguzzoniano Canton (il quale ieri s'è dimesso per paura di finire disarcionato alla prima occasione utile). La protesta contro Maroni ha aizzato i Barbari Sognanti decisi a riprendersi via Bellerio con una manifestazione ad hoc, manifestazione poi saltata perché «sarà Bergamo ad acclamare Maroni come nuovo capo». Insomma nel giro di pochi giorni la leadership del Carroccio ha cambiato faccia e nel cambiarla disegna nuovi equilibri interni. Che qui proviamo a delineare nome per nome. Roberto Maroni. Il nuovo leader. È l'unico della vecchia guardia che, a furor di popolo, può succedere a Umberto Bossi. Maroni è la rottura rispetto al mondo del Cerchio magico. Mal sopportato da Manuela Marrone, su di lui si sono concentrate le antipatie e le gelosie di Rosi Mauro e di Marco Reguzzoni. Maroni fu uno dei pochi dirigenti del partito a opporsi a molte delle scelte che poi si sono rivelate disastrose, dall'avventura bancaria di CrediEuroNord alle varie iniziative finanziarie sostenute dall'ex tesoriere Balocchi. Anche per il fatto di non aver mai speso la propria faccia a sostegno di queste avventure (assai caldeggiate dalla Marrone), negli anni della malattia di Bossi il Cerchio magico aveva “emarginato” l'ex amico Bobo. Roberto Calderoli. Bossi ha indicato il suo nome nel triumvirato per arginare Maroni coi suoi Barbari Sognanti. Invano. Per quanto possa contare su un gruppo di dirigenti (Roberto Cota in testa, il quale è in assoluta fase calante), la base non è disposta a grandi aperture di credito. La scelta di non farlo parlare è stata sintomatica. Calderoli significa Berlusconi, significa Tremonti, significa Brancher; significa un mondo che oggi i leghisti vogliono accantonare per un po' perché il lungo e acritico abbraccio col Cavaliere è considerato l'inizio della fine. Calderoli, infine, viene visto come il ministro di un federalismo ostile ai sindaci e amico di Tremonti. Un sospetto più forte persino delle varie inchieste aperte che lo riguardano. Manuela Dal Lago. È una delle anime storiche della Liga, legata a Giampaolo Gobbo segretario del Veneto. Dal Lago-Gobbo sono gli avversari del giovane e più efficiente Flavio Tosi. Proprio per frenare il veronese Tosi, l'altro giorno Gobbo ha avanzato la candidatura di Luca Zaia come segretario federale al posto di Maroni. Una polpetta avvelenata contro Tosi (che Zaia intelligentemente s'è ben guardato dal mangiare) e nello stesso tempo un modo per strizzare l'occhio ai venetisti da sempre gelosi dello strapotere lombardo in Lega. Lei e Gobbo sono due nomi espressione della nomenclatura passata. Flavio Tosi. È con Maroni il leghista più amato dalla base. È l'uomo delle rotture: ebbe il coraggio di criticare Umberto Bossi quando nessuno ancora lo faceva. Appoggiò apertamente Roberto Maroni contro i cerchisti quando il Bobo era in difficoltà. Criticò senza mezze misure Calderoli e il suo federalismo, puntando l'indice anche contro Berlusconi e contro Giulio Tremonti. Da Calderoli fu attaccato direttamente dal palco di Venezia: la cosa invece di scollare i sindaci col fazzoletto verde li unì in un fronte solo, dal varesino Attilio Fontana (in forte ascesa) al novarese Massimo Giordano. I gradi di duro e puro, il buon Tosi se li è guadagnati sul campo fin da subito, così come i galloni di buon amministratore oltre che buon politico. L'alleanza con Maroni è solida, per questo l'ex ministro dell'Interno potrebbe puntare molto su di lui nell'organigramma della Lega futura. «Mi candiderò alla guida della Liga Veneta», ha dichiarato recentemente senza nascondersi dietro un dito. Del resto i congressi locali li sta vincendo pressoché tutti lasciando a Gobbo solo l'amaro in bocca. Matteo Salvini. L'ex ragazzino di via Bellerio (o l'ex peste) ormai è diventato grande ed è pronto a ricevere le redini della Lega Lombarda. Non basta descriverlo come maroniano, Salvini è uno dei ragazzi che incarna il leghismo della militanza, anche quando ciò gli ha comportato delle cadute di stile. Salvini è la base che poi è diventata dirigenza: insomma l'opposto di Renzo Bossi e di Rosi Mauro.

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