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Morosini Una vita di tragedie e sfortuna: cercava il riscatto ma è morto per il calcio

Il 26enne mediano del Livorno vittima di un attacco cardiaco. Orfano dei genitori, un fratello suicida, lascia la sorella disabile

Giulio Bucchi
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Il cuore è un criminale che sbaglia poche volte. Muamba l'ha mancato di un pelo, e così Fabrice è tornato a sorridere - il primo, poco più di smorfia, l'ha twittato dall'ospedale al mondo la moglie col cellulare. Il sorriso ha accompagnato raramente la breve e sfortunatissima vita di Piermario Morosini, finito ieri pomeriggio durante Pescara-Livorno. Il suo era il cuore di un calciatore di 25 anni, di un atleta che come i colleghi doveva sottoporsi al controllo semestrale di routine, oltre a quello annuale, certamente più approfondito. Era un cuore forte, per i medici sano ancorché provato dalle tragedie familiari. “Moro” aveva dovuto piangere prima la morte dei genitori - la madre, Camilla, nel 2001, il padre Aldo due anni più tardi - e in seguito quella del fratello che la vita aveva deciso di togliersela. Gli era rimasta la sorella maggiore, disabile. E una fidanzatina che fa la pallavolista a Bergamo. Il calcio era il lavoro di Piermario, la distrazione e talvolta anche la frustrazione, l'unico strumento di autodifesa per tentare di vincere la partita con la depressione che nel suo caso sarebbe stata più che giustificata. Un dolore dietro l'altro, eppure il coraggio di tirare avanti («ci sono cose che ti segnano e ti cambiano» diceva «ma che allo stesso tempo ti mettono in corpo tanta rabbia e aiutano a dare tutto per realizzare quello che era un sogno anche dei genitori») e infine una resa tanto involontaria quanto sconcertante, sublimata dalla sospensione di tutti i campionati. Il calcio italiano si è fermato di fronte alla morte di Morosini che dal calcio aveva avuto poche soddisfazioni. «Era un ragazzo riservato e dolcissimo, non parlava quasi mai di quello che aveva dovuto sopportare», ha raccontato tra le lacrime l'ex compagno di squadra Manuele Belardi raggiunto dalla notizia non appena è uscito dagli spogliatoi. «A Udine ha vissuto due anni e mezzo a casa mia, stava da solo. Pensa che l'idolo della sua ragazza era la mia ragazza (la pallavolista Veronica Angeloni, ndr). Un anno lo mandai a giocare in prestito a Reggio Calabria parlandone personalmente col presidente Foti. Non ce la faccio a pensare che non c'è più». La rete registra la morte di un altro calciatore, c'è addirittura chi si preoccupa di aggiornare in tempo reale la pagina dedicata di wikipedia (una vita è un numero, una notizia da consumare in fretta), e rilancia freddamente l'elenco di chi sul campo ha lasciato corpo e anima, da Attilio Ferraris nel '47 al povero Piermario, passando per Taccola della Roma, Curi del Perugia, Ceccotti della Pro Patria, Foé del Manchester City, Feher del Benfica, Serginho del Sao Caetano, O'Donnell del Motherwell, Tchingoma del Libreville, Puerta del Siviglia. Gli ultimi otto, Morosini compreso, dal 2003 a oggi. Vogliamo parlare di escalation? Più che naturale inseguire una spiegazione, un perché, adesso tutto è plausibile: l'elemento casualità, oppure la superficialità di alcuni medici, ma anche i limiti di un sistema che nasce imperfetto e di imperfezioni e sottovalutazioni si alimenta per bloccarsi di fronte al dramma e far scattare l'indignazione. Ma poteva giocare Morosini? Certo che sì: il regolamento non contempla lo stop per familiarità con il dramma. Morosini era cresciuto nelle giovanili dell'Atalanta (dieci anni, un titolo Allievi); nel 2005 era passato all'Udinese in comproprietà (cinque presenze in A e l'esordio contro l'Inter il 23 ottobre dello stesso anno). Dall'Udinese al Bologna, in B. Nel 2007 al Vicenza, sempre in B,  34 presenze e un gol. Nell'estate del 2009 l'Udinese aveva riscattato la metà del cartellino; a fine agosto il prestito alla Reggina. Padova, ancora Vicenza e dal 31 gennaio di quest'anno Livorno. La speranza è che il ricordo di Piermario non si riduca a uno stop figlio dell'emozione del momento, a un minuto di silenzio e a qualche ciao, addio, ci mancherai. di Ivan Zazzaroni

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