Sono innamorati delle baracche e lo dicono senza il timore di passare per folli. Sono innamorati, forse, perché non erano di fianco a casa loro. Anche chi non frequenta Milano conoscerà sicuramente il quartiere della torre Unicredit, grattacielo firmato da César Pelli e diventato uno dei simboli della città. Un progetto avviato dopo decenni di stallo urbanistico determinato da austere giunte di centrosinistra. La svolta è arrivata con Gabriele Albertini. Subentrando al governo della città, la sinistra ha di fatto subìto le nuove costruzioni, salvo poi prendersene il merito.
Ma alla fine i vecchi affetti tornano a galla, come ricordava qualche anno fa l’ex sindaco Giuliano Pisapia: «Vedo una città che splende e si apre al mondo ma c’è anche la nostalgia per le Varesine». E come si legge in questi giorni, l’amore per il degrado passato è riesplosa in questi giorni con una serie di articoli sulla “Milano senz’anima” dei grattacieli. Il picco è stato raggiunto su Repubblica ieri «Ma mai come in questi ultimi 15 anni Milano è cresciuta e cambiata, ed è stato proprio un attimo, ci siamo girati e di colpo le Varesine erano sparite, demolita la ruota luminosa del luna park, e le baracche dei disgraziati, e l'area per il circo di passaggio, anche patetico». Già, che belle, le baracche.
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Ecco, come dicevamo, chi pubblica queste cose deve essere cresciuto molto lontano dai quartieri di cui si parla, altrimenti probabilmente avrebbe un’opinione molto diversa della faccenda. Capiamoci, non siamo parlando del Bronx, ma il quartiere negli anni ‘80 faceva semplicemente schifo ai topi. Le Varesine sono state sempre spacciate come area verde dal Comune, ma di verde in zona c’era giusto la faccia di qualche eroinomane che si nascondeva tra i cespugli. Lo sbandierato luna park cadeva letteralmente a pezzi, sembrava un parco giochi di Bucarest, e là dove oggi si trovano le torri Solaria – quelle per intenderci dove abita diletta Leotta – sorgeva un variopinto campo rom. E per chi non avesse esperienza di quanto sia spassoso vivere di fianco alle roulotte dei nomadi ci limitiamo a una constatazione: è decisamente meglio Diletta Leotta. Alcuni abitanti degli insediamenti abusivi a Milano hanno abitudini peculiari, tipo quella di accendere dei falò per bruciare i cavi di rame cospargendoli di benzina. Queste pire sprigionano un fumo denso e nero che finisce sui palazzi circostanti. Sono molto democratici in questo, non fanno sconti a nessuno: bruciavano cavi anche nel campo di fronte a uno dei palazzi che, per una convenzione, ospitava vari funzionari delle forze dell’ordine. Il questore apriva la finestra al mattino e veniva investito da un fumo nero e denso.
Poco più in là rispetto alle bellissime Varesine (bellissime per chi alleva pantegane, s’intende) c’era un’altra zona famosa, quella di corso Como, che sarà familiare anche ai non milanesi in quanto base operativa di tanti calciatori amanti della vita notturna. Adesso la borghesia cittadina si lamenta dei troppi stranieri che vengono a fare il weekend a Milano: “oddio l’overtourism”. All’epoca il problema erano le overdose, era una delle principali piazze dello spaccio cittadino. E i tendoni del circo? Venivano tirati su un paio di volte all’anno. Per il resto di fronte agli occhi rimaneva una spianata deprimente senza un filo d’erba. Ora in quel punto c’è un parco.
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Ribadito quindi che solo un folle potrebbe preferire il vecchio scenario a quello odierno, sapete cosa c’è di bello? Gli affitti erano assolutamente cari anche all’epoca, perché a Milano i prezzi hanno continuato a crescere sempre, anche dopo Tangentopoli. Solo che ora non sembra la periferia di Bratislava. Certo, si fa fatica con i parcheggi. All’epoca si trovavano, ma saltava l’autoradio. E qualche giornale di sinistra sicuramente scriverà: “che nostalgia per quei finestrini rotti...”.
