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Dj Ringo a Libero: "Insopportabile e fascista". Da Salvini a Carola e Greta, la verità sulla sinistra oggi

Leonardo Filomeno
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“La discografia ha fatto la stessa cosa di Rolling Stone Italia. Si è venduta al commerciale. Al trash. I trapper sono i Sandy Marton e le Tracy Spencer di questi tempi, senza dubbio più tristi rispetto ai bei fasti”. Fare due chiacchiere con Dj Ringo è un’esperienza avvincente. È un tipo veramente alla mano. Avercene di persone come lui nel mondo radiofonico. Addetto ai lavori dal confronto energico, cresta da immaginario popolare puro, è un riferimento importante nel mondo rock italiano. Da oltre 20 anni è in onda col suo Revolver, ora nella Virgin Radio di cui è rodato timoniere, super ruggente con le sue chitarre. Tante domande. La radio a più riprese. C’è la sua visione del rock. È la persona più titolata per dirci che fine abbiano fatto i successi di qualità ed un certo mainstream.

Per intenderci quello più alternativo, oggi scalzato dall’onnipresente cattivo gusto.
“La gente è stata disabituata a scegliere la qualità. È altissimo il numero di persone che vanno sul commerciale, e che la qualità nemmeno più la accettano, perché costa troppo. I suoni e testi riflettono lo stato della società. Che oggi è trash. Uno che fa musica impegnata non emerge. E nessuno investe più su cose alternative. D’altronde, perché farlo, se una copertina con Greta Thunberg o Carola Rackete vende più copie?”.
Dalla provocazione alla realtà più triste con certi personaggi è un istante. 
“Sarebbe la dimostrazione che ormai funziona solo il personaggio del momento. Non importa se arrivi dalla politica, dal trash, o da qualcosa di negativo. Non ce l’ho con RS Italia per partito preso, ma ho sempre difeso il marchio americano, e la débâcle italiana per me è stata notevole. Hanno trasformato la bibbia del rock in quella del pop, del trap, del trash. È stata data loro la possibilità di esistere, e hanno rovinato un brand strabiliante. Se ti danno la Ford Mustang, devi fare quella, perché è storica, non puoi farla diventare una Bianchina. Mi sarei aspettato una conferenza stampa nella quale si diceva: Da oggi, questo giornale cambia pelle. Non si occuperà più di musica ma di politica. E sarà contro Salvini“.
Quindi di sinistra, per forza di cose. 
“Una sinistra ormai insopportabile. È ovunque, e usa ogni argomento per difendersi ed accusare l’altro. Da sinistra è diventata fascista. La copertina su Salvini, ad esempio, fu scandalosa. Lui, su molte cose, dagli immigrati al tema della sicurezza, ha completamente ragione, sbaglia a porsi male, a comunicare violentemente. Ma perché usare un giornale musicale per andare contro una persona e demonizzarla? Avrebbe avuto senso ai tempi di Hitler”.
J-Ax ha detto che per colpa di Salvini fa meno concerti. 
“E menomale. Voglio bene a J-Ax, ma che palle certi concerti… Per sentire poi il reggaeton fatto dai rapper? Dai (ride, ndr)”.
Hai detto: “Il fatto che uno come Manuel Agnelli abbia accettato di prender parte ad un talent la dice lunga”. 
“In 15 anni, quanti nomi ricordi che hanno funzionato? Due, tre? Non è poco rispetto a migliaia di partecipanti? Sono artisti tarati per la tv, fuori dal programma non combinano niente. Ragioniamo: se hai una pizzeria gourmet e vendi la pizza a 20 euro, ma dopo un mese ne aprono 4 economiche affianco alla tua, che mozzarella ci metteranno sopra? Giocando a ribasso, ne paga tutto. Fate pure i vostri noiosi talent, ma non rompetemi le palle col fatto che non troviate qualità e talenti in Italia”.
Chi segue serie tv e canali tematici è già un’élite a confronto.  
“Vero, ma se andiamo avanti a serie, i film e gli attori spariranno. Non essendoci più la possibilità di pagare attori veri, chiami quelli da quattro soldi. E, a pagare il prezzo più alto, sarà il talento. Riabituiamo i brand ad investire sulla qualità. Non possono esserci 2 spot in tv in cui vedi o senti Rovazzi. Non ce l’ho con lui, ma con ciò che rappresenta. Uno spot, un tempo, lo facevano Patty Pravo o Mina, star vere. Adesso lo facciamo fare ad uno che ha fatto una canzone demenziale e poco altro nella musica. Su quali basi lo fai diventare una star milionaria? Cerchiamo delle rockstar vere!”.
Che non sono certo i tristi trapper. 
“Trasgressione zero. Fanno le stesse cose che facevamo noi nel ’78. Si tingono i capelli, si tatuano, indossano spille ed orecchini. Solo che, quarant’anni fa, il punk cantava la ribellione, la voglia di esplodere. La ribellione odierna sta ne calarsi di MDMA per sentirsi meglio? (sorride, ndr)”.
Musicalmente cosa più t’infastidisce? 
“Non sopporto questi fiumi di reggaeton americano ed inglese. Ma sopratutto, quello degli italiani, che, per tenere la nota identica ai suoni del genere, che non ci appartiene, storpiano le voci, facendo finta di cantare in inglese, ma poi sono parole italiche. Ricordano Frank Sinatra, quando cantava in italiano e ci pigliava per il culo. Un cantilena terribile, che le radio non ci risparmiano, ovviamente”.
Nelle generaliste di flusso, anche per una questione di tempi, nessuno emerge o si distingue. E la crescita di quelle di genere (come la tua) inizia ad a darci un chiaro segnale. 
“Beh, quasi 3 milioni di ascoltatori, per una radio di genere, come quella che faccio, che sarebbe per certi versi ‘di nicchia’, ne valgono almeno 10 di una generalista. Mi impongo di ascoltare gli altri, spesso mentre viaggio. Le notizie si ripetono, e non esiste ricerca nel differenziare l’informazione in onda. Molti speaker si sono ridotti a dare ricette: le ho sentite a mezzogiorno, poi alle 15, e alle 18. Quando pongono quesiti più seri, il testimonial non c’entra niente con l’argomento, del tipo: parlano di legge e chiamano uno chef a rispondere. L’importante è che sia un personaggio celebre”.
Molti speaker fanno errori grossolani, ad esempio sulle date, e di musica non sanno niente. 
“Il trend, negli ultimi anni, è stato mandare in onda gente a cui non frega un cazzo della musica, ossia pseudo attori, ex veline, influencer. La radio paga chi porta click. Vedo tanti giovani che, anziché cercare notizie diverse o inventare slogan, cosa che non fa più nessuno, perdono tempo a fare i selfie davanti al microfono. Torniamo, piccoli e grossi, a creare vivai di talenti! Arrivano in onda ragazzi che non sanno muovere un cursore o aprire un microfono, non sanno cosa sia un campo vibrante. Un ragazza, anni fa, mi chiese: Cosa sono i Larsen, una piccola band? (risata amara, ndr)”.
Lamenti l’assenza di veri direttori. 
“Gente che vigila sul serio non ne vedo. Se una canzone è una tamarrata, non devi programmarla. A Virgin sto attento, e più di qualche artista l’ho lanciato, anche se non italiano, potrebbe obiettare qualcuno. Non è vero che seguiamo tutti ‘gli algoritmi’. Nella mia radio, a scegliere ci sono professionisti come Alex Benedetti, Pf Colombi e Barbara Terrile, tra gli altri. Quando arrivano i dischi nuovi, ci sediamo tutti assieme ad ascoltarli. C’è il contributo umano di ognuno di noi. Siamo lì ‘tutti’. E questo manca in molte radio, oggi. Ecco perché, alla fine, vengono soverchiate dal marketing, dal commerciale, dalla più becera richiesta popolare. La tv, per finire, disturba. Chi fallisce da quelle parti, ce lo ritroviamo spesso in onda”.
La moda del vinile fa bene? 
“Non è manco revival. Il ragazzino che compra maglietta e vinile degli Iron Maiden e posta la foto su Instagram. È uguale a Chiara Ferragni. È solo un poser. Prova a fargli delle domande su quel disco senza Wikipedia alla mano. Non sa un cazzo”.
Il rock funziona meno. Pare la dance, ormai schiava del revival. 
“Soprattutto in America, roba forte ce n’è. Dunque ti dico che il rock sta benissimo. La nostra programmazione è nuova, mettiamo gruppi in crescita. Non so se saranno all’altezza degli AC/DC, o i nuovi Guns. Però è gente che fa musica di qualità. Penso a Gary Clarck Jr e Fantastic Negrito, bluesman americani di livello, ai Greta Van Fleet, e poi Yungblud, Travis Barker, Simple Creatures. Quanto ai concerti, Firenze Rock Festival ha fatto 60mila persona a sera. Slash, al Rock The Castle Festival di Verona, ha sbancato. Vasco ha riempito per 5 volte San Siro. Il reggaeton fa grandi numeri solo nelle discoteche”.
E gli italiani? 
“Non mi interessano. Non mi danno nulla, non voglio manco parlarne. L’unico italiano che, a testa alta, mi ha regalato delle emozioni, è Edoardo Bennato, che ha fatto davvero la storia della musica italiana. Piero Perù è un amico”.
Le più grandi rockstar di sempre? 
“Elvis Presley negli anni ’50, i Beatles nei ’60. Per il punk, i Ramones. Ottanta e Novanta direi David Bowie. Gli altri sono arrivati perché c’erano loro”.
Indimenticabile l’incontro con Marilyn Manson. 
“Negli anni ’90, lo portai a Radio 105, nel mio programma, per parlare di un suo libro. La sua tesi era: se hai avuto un rapporto orale con un uomo, non sei gay. Ma come?, obiettai (ride, ndr). Lo diventi il giorno dopo, nel momento in cui ripensi a lui, ed hai voglia di rifarlo. Lì scatta l’omosessualità, rispose. Ridendo, dissi: Cazzo, allora ho un bonus‘”.
L’esplosiva Bloodhound Gang e Re Leone. 
“Fuori dallo studio, in attesa di intervistarli per il loro successo The Bad Touch del 2000, chiacchieravo col compianto Leone Di Lernia. Mi chiesero chi fosse, e provai a spiegarglielo. Risero, facendo notare la somiglianza col classico personaggio cotonato, uscito dai film mafiosi italiani degli anni ’60. Alla fine, Leone entrò nello studio durante l’intervista, e si spogliò davanti a loro”.
Slash e Ringo Starr li ha rivisti di recente. 
“E mi ha fatto molto piacere… Con Slash si parla sempre di grande musica. E, soprattutto, è una bella persona. L’anno scorso, Ringo Starr mi ha detto: Tu sei mio figlio. Allora gli ho risposto: A 13 anni suonavo la batteria in una cover band ed eseguivo (male) i tuoi pezzi. È dal ’73 che mi faccio chiamare come te. Mi ha chiesto le royalities (ride, ndr)”.
Che significato ha avuto per te la parola “ribellione”? 
“La mia ribellione fu vivere a Londra. Studiavo inglese e scaricavo gli strumenti dai camion durante i concerti dei Sex Pistols per vederli gratis. In Italia Lotta Continua menava tutti. Concerti non ce n’erano. Gli autonomi tiravano moto in faccia a tutti. Non ci facevano vivere. Un chiodo di pelle per strada, per loro, era nazista, lo massacravano di botte. Oggi molti di quei personaggi sono tutti politici ultra impegnati nelle file della sinistra radical chic o imprenditori col soldo pesante”.
Quando è finito tutto? 
“Milano da bere, anni ’80, ritorno del consumismo, tanti soldi. Più ne hai, meno combatti. Manu Chao cantava potere al popolo e volava con l’aereo privato. Gli stessi Clash credo sarebbero cambiati. Quando intervisto certi artisti, lo percepisco: forse musicalmente e nel sangue sono sempre loro, ma intanto arrivano con 8 manager e aereo privato. Come fai a dire che sei ancora un ribelle, quando sei così ricco?”.
Prima console? 
“A 14 anni, al Cox, il primo gay club di Milano. Lavoravo nella taverna al piano di sotto, sopra c’erano i gay che ballavano la disco. Io suonavo il punk e la new wave, appena esplosi. Infatti poi scendevano tutti sotto da me, in quei mitici pomeriggi”.
Ultima moto?  
“Il Nuovo Caballero 500, che negli anni 70 amavo. L’hanno rifatto”.
“12 anni di Virgin”, scrivevi tempo fa in un post.
“Virgin è stato il primo network rock italiano nazionale, e nacque in un periodo di crisi nera. Facciamo tanto, anche con la tv, ed è tutto gratis. Non è facile sopravvivere. A molti gliela spegnere, e farei ascoltare loro altre radio, per vedere cosa pensano del resto. Tra l’altro, i cari amici di Spotify Italia hanno copiato la mia Macchina del tempo da Revolver. Perché le cose non le facciamo assieme? (ride, ndr)”.
Quasi 59 anni, quali pensieri e quali piani? 
“So benissimo che non posso andare avanti all’infinito, ma fino a quando non esce qualche giovane che mi spodesti, io vado avanti. Mi vedo molto come Clint Eastwood e Iggy Pop. Vecchi ma bastardi. Il corpo è invecchiato, l’anima resta rock and roll e famelica. Vorrei tornare a lanciarmi col paracadute. Mai dire mai”.
Revolver in onda pure ad agosto. 20 anni senza respiro. 
“È come una gara del MotoGP. Ogni giorno metti la benzina, cambi le gomme, a volte fa il miglior tempo, altre sta nei primi 10. Ma resta una moto da gara. Finché il motore regge, io i campionati li voglio correre”.

 

 


 

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