Giannino confessa: "Mi sono inventato le lauree per un complesso di inferiorità"
«Perché perdi tempo con me che non conto nulla?», dice Oscar Giannino che, per precauzione, si cosparge in anticipo il capo di cenere. È nel suo ufficietto milanese dell'Istituto Bruno Leoni, il think-tank liberista che ha continuato a dargli fiducia nonostante l'incresciosa vicenda dei titoli di studio inventati. La stanzina, tipo piccionaia, è una muraglia di libri e carte. Su un versante sto io, dall'altro la testa di Oscar che, essendo il suo busto nascosto dalla pila di scartoffie sullo scrittoio, sembra un viso che galleggia per aria. Ha un aspetto meno bizzarro del personaggio che un tempo imperversava in tv. Ha la solita barbetta, il cranio lucido e pantaloni rossi. Ma è senza il bastone che nei talk show roteava minaccioso quando gli saltava la mosca al naso. «Sto meglio di salute e l'appoggio non mi serve più», spiega, con voce dolce e contrita. Il cinquantatreenne Giannino è il valente giornalista economico che i lettori di Libero conoscono meglio di chiunque essendo stato (2007-2009) direttore del supplemento finanziario LiberoMercato. Si è fatto le ossa nel Pri al fianco dei due La Malfa e calibri così. Entrò nel partito nel 1975, a 13 anni, e l'ha lasciato nel 1994. Da allora ha fatto il giornalista. Ha avuto successo e conquistato fan. Soprattutto al Nord Italia, intere folle restavano appese alle sue torrenziali prediche economico-liberiste, a colpi di «Stato ladro», «somari», «sciocchi», «ergo», «soberrimo». Quando Oscar capì che gli aficionados si aggiravano sul milione, fondò un movimento, Fare per fermare il declino, per gareggiare alle politiche 2013. Vi aderirono imprenditori, professionisti e delusi vari. Fiori all'occhiello erano due economisti, pieni di sé ma di grido: Nicola Zingales e Michele Boldrin, docenti in Usa. Giannino fu candidato premier. Il patatrac accadde la settimana prima delle elezioni con la rivelazione che Oscar, il quale da anni si vantava di avere preso un master alla Chicago University, a Chicago non aveva nemmeno messo piede. A denunciare l'inghippo fu proprio l'amico Zingales, che in quella università insegna. Sull'onda, emerse che neanche era laureato mentre diceva di esserlo in Legge ed Economia. Il terremoto espulse Fare dalla lizza elettorale e Oscar dal mondo dei rispettabili. «Smettila di fare il Cireneo» dico a Giannino che, dovendo ancora capire le mie intenzioni, gioca la carta del compunto. «È passato un anno e mezzo. Ti sarai fatto l'esame di coscienza». «Non ho fatto altro», dice con umiltà che stride con l'antico personaggio. Perché hai cominciato a raccontare favole su di te? «Un grave errore dovuto a un complesso di inferiorità che ho inconsciamente covato nel Pri. Era un mondo di élite, pieno di persone con titoli accademici a bizzeffe». E te li sei attribuiti a tua volta. «Finché ero ragazzo di bottega, no. Poi vennero i riconoscimenti per il mio lavoro. La gente cominciò a elogiarmi, ad appiopparmi titoli. Prima dottore, poi anche di più. Li ho accettati per vanità, poi ci ho messo del mio». Quando la bomba è scoppiata? «Sono rimasto di peste per la delusione che davo a centinaia di migliaia di persone e per la sofferenza di mia madre e mia moglie che non se lo aspettavano. Quanto a me, mi sono chiesto se avessi perso per sempre qualsiasi credibilità». Hai avuto insulti? «Tanti e non ho mai polemizzato. Ho detto: è giusto». Non ti fai sconti. «So che fino all'ultimo giorno della mia vita rischio che qualcuno mi dica: “Stai zitto buffone”». Ti sei sentito tradito da Zingales? «Capisco il suo punto di vista. Io, come candidato, ero molto esposto e lui, come docente della Chicago Uni, si è sentito chiamato direttamente in causa. Da allora, non ci siamo più sentiti». Perdesti tutte le collaborazioni giornalistiche. «All'inizio, sì. Né io mi sono più fatto vivo. Nel tempo, invece, molte più persone di quante immaginassi hanno continuato a darmi fiducia e stima. Oggi, ho ripreso tutti i lavori che avevo: Radio 24 (la radio del Sole 24 ore-Confindustria, ndr), il Messaggero e i giornali del gruppo Caltagirone, Panorama. E a farsi vivi, questo mi ha colpito, sono stati loro». Come liberista, avresti dovuto ripudiare i titoli di studio, invece che desiderarli. «È infatti un'aggravante. Come liberale non posso che dirmi contrario al valore legale dei titoli di studio. Argomento che oggi, per decenza, neanche tocco nei dibattiti». Risvolti positivi scaturiti dal guaio? «Tre. Prima di dire una cosa, ci penso due volte. So che, avendo nell'armadio lo scheletro della mia bugia, parto con un handicap e che gli altri hanno un vantaggio iniziale su di me. Mi sforzo continuamente di dare a chi mi è più vicino la certezza che, almeno nei valori di fondo, sono di una coerenza assoluta». Ti presenti come un dandy. «Per anni, non avendo una lira, mi sono accontentato di due giacche e due cravatte. Appena ho avuto due soldi, mi sono sbizzarrito. L'amore per stoffe, colori, abbinamenti, ce l'ho dentro». A cosa ti ispiri? «Agli anglosassoni. Il formalismo italiano la dice lunga sulla nostra classe dirigente. Hanno armadi pieni di abiti uguali: dieci gessati, dieci vestiti scuri, ecc. Gli angloamericani, invece, con responsabilità finanziarie e imprenditoriali triple, sono pieni di fantasia: tight, bombette, papillon, ghette». Perché questa differenza? «I nostri si sentono credibili solo in veste da pompe funebri. Gli inglesi, più liberi, si prendono bonariamente in giro. Quando io vado in giro con gilet e cravatte di mia invenzione, gioco e mi diverto con me stesso». Ti consideri di centrodestra? «La destra mi ha deluso. Sono libertario-liberista. Lo Stato, per com'è in Italia, è una follia unica in Occidente. Un Fisco che, solo per aprire un contenzioso - solo per sederti a discutere - pretende che versi un terzo della sua pretesa erariale, è da spararsi». Perché nelle elezioni del 2013 ti sei presentato dichiaratamente contro Berlusconi liberale pure lui? «Pensavo, come penso, che il suo ciclo come leader in prima persona fosse finito. Essendoci, da quella parte, molti voti in libertà, voleva marcare la differenza tra noi e il Cav». Monti e Letta non hanno fatto meglio di Berlusconi. «Monti ha fatto solo la riforma pensionistica. Poi si è sgonfiato. Letta è stato vischioso, lento e indeciso. Molto deludente». Renzi? «Distanza siderale tra annunci e ciò che fa». Un imbonitore? «Il suo obiettivo primario è gettare alle ortiche la vecchia identità post comunista del Pd per garantirgli stabilmente la maggioranza attuale del 40 per cento. Vent'anni di egemonia per sé e i suoi». E i problemi italiani? «Il resto viene dopo». Uscire dall'euro? «L'uscita unilaterale non è prevista dai trattati. Se agiamo da soli, finiamo come l'Argentina. Però, anche andare avanti come adesso, non è pensabile». Fare come la Francia che ha alzato la voce? «La Francia da sola non va da nessuna parte. Meglio sarebbe stato che Italia-Francia si fossero accordate per una proposta congiunta e chiara, alla quale altri si potevano accodare. Sono necessarie posizioni esplicite, a viso aperto». Ristrutturare il nostro enorme debito pubblico - 2.200 miliardi - ricontrattando i pagamenti? «Una follia. È l'uscita dal consorzio delle grandi Nazioni. Inoltre, poiché i tre quarti del debito è in mano alle famiglie italiane, toccherebbe a loro accollarselo. Ci impoveriremmo per generazioni». Torniamo a te. Vero che, dopo esserti sposato civilmente, vuoi ora farlo anche in chiesa? «Il progetto c'è. Da giovane, repubblicano e laico, sono stato fieramente ateo. Non la penso più come allora. Anche se non mi definirei un vero credente, mi ci avvicino». Ti vedremo un giorno in tv in abiti cardinalizi? «Non sono cose su cui posso scherzare. Ho uno zio, fratello di mia madre, monsignor Luigi Travaglino, che è un eminente personaggio della Segreteria di Stato vaticana». Vestito da penitente? «Mi sono già cosparso di cenere in questa intervista. Che vuoi di più?». di Giancarlo Perna