Piercamillo Davigo: "I corrotti? Me li immaginavo con la lingua verde, come i Visitors"
Molti anni prima di Mani Pulite, Piercamillo Davigo, uno dei magistrati che animò l'inchiesta delle inchieste, era un bambino che cresceva negli anni '50 in un piccolo borgo della Lomellina. E Davigo, in una lunga intervista al Fatto Quotidiano, si racconta, da quando indossava i pantaloncini corti, agli anni di Milano e fino ad oggi. Si parte dalla scuola, quando lui e i compagni parlarono di "diritti" al preside e si sentirono rispondere così: "Diritto? Se io vado dal sarto con una stoffa per fare un vestito, il sarto ha dei diritti, io anche ma la stoffa no. I vostri genitori vi hanno mandato qui per prendere la maturità: loro hanno dei diritti, noi abbiamo diritti. Voi siete la stoffa”. Davigo era un ragazzino "molto vivace", tanto che prese 7 in condotta, ma "allora la disciplina era di ferro". "...come i Visitors" - Poi furono gli anni dell'università, Giurisprudenza a Genova. Gli anni della contestazione, che però "lì è arrivata tardi". Il magistrato prese una doppia laurea: "Poi - ricorda - mi sono laureato in scienza politiche a Torino". Quindi gli anni dei primi lavori e, soprattutto, quel primo interrogatorio "al primo imputato di corruzione. Un giovane funzionario che aveva già confessato di aver ricevuto denaro in quattro occasioni, la prima volta 250mila lire. Mentro lo aspettavo - ricorda - cercavo d'immaginarmelo: non avevo mai visto un corrotto in vita mia. Me li immaginavo come i Visitors, con la lingua verde. Invece no, era identico a me". Negli anni delle sue inchieste scomode, Davigo, fu al centro di molte minacce. Il ritornello scritto sui muri? "Davigo, sei il primo della lista". La toga ricorda: "Regolarmente gli imbianchini la cancellavano e loro la riscrivevano. Non mi sono mai preoccupato perché dopo un po' cambiarono frase: Davigo abbiamo perso la lista, ma tu sei sempre il primo. La trovai meravigliosamente ironica e pensai che nessuno con quel senso dell'umorismo poteva davvero spararmi". La vita personale - Nel lungo colloquio col Fatto c'è spazio per alcune riflessioni sulla sua professione. Si discute del monopolio dell'uso della forza, e Davigo afferma, senza dubbio: "Ma i magistrati hanno il monopolio dell'uso della forza! Certo. Infatti io non penso che uno che ha fatto l'obiezione di coscienza al servizio militare possa fare il magistrato. Che differenza c'è tra usare la forza e ordinare di farlo?". Quindi si arriva agli aspetti più personali di Davigo, partendo da quelli frivoli: "Se andavo in discoteca? Sì, certo, e ballavo anche". Su Mani Pulite, spiega che l'inchiesta gli ha cambiato la vita: "C'è stata la conseguenza di essere riconosciuto, che è svantaggiosa. Perché non ti permette di essere in incognito. Se nessuno sa chi sei, puoi parlare con gli altri e ascoltarli sentendo commenti, idee, opinioni che non arrivano più quando sei riconosciuto". Per ultimo, un amaro ricordo: le è mai capitato che un suo detenuto s'ammazzasse in cella? "Due volte. Una volta era un tossicodipendente arrestato in flagranza di reato, che era in crisi d'astinenza. L'altra una guardia giurata che aveva ucciso i suoi vicini che facevano rumore e non lo lasciavano dormire".