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La politica secondo Scilipotiossia lo stupidario della Casta

Domenico Scilipoti

Le fughe della Mauro, Fini redarguito da Pini, gli eccessi di Di Pietro: un libro raccoglie le idiozie parlamentari

Eliana Giusto
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Si prende tra le mani lo Stupidario parlamentare (Ed. Il Borghese) di Lanfranco Palazzolo e si resta stupiti. Possibile che un argomento come «gaffes, figuracce, insulti, invettive» di deputati e senatori occupi solo 210 pagine? Poi si specifica: «…nella XVI legislatura».  Orrore, dunque. Questo ammasso di trivialismi, infelicissime uscite e incapacità palesate è stato accumulato in poco più di quattro anni. Dal Louis XVI al Victorian Age, nelle monarchie erano i sovrani a battezzare periodi e stili. La nostra malinconica dinastia è confinata nei palinsesti televisivi, così dobbiamo fare altre scelte, chiamando quella XVI legislatura «Age Scilipotiènne». In fondo è lo stesso Palazzolo a scrivere «Domenico Scilipoti viene additato da tutti come il simbolo della degenerazione della politica italiana» in testa alla voce che riguarda la più vivace trottola parlamentare, passato dall'Idv al filoberlusconismo. Con le uscite del deputato siciliano si potrebbero riempire server e server di Wikipedia, ma Palazzolo fa un'ottima cernita, ricordando quel 30 maggio 2012 in cui Scilipoti parlò a lungo della B.C.E. senza accorgersi che all'ordine del giorno c'era la C.E.B. (Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa). Una distrazione come ne sono elencate parecchie in questa raccolta e che affiorano qua e là nell'emiciclo dove la noia porta a cercare sollazzo nel Solitario dell'iPad. Cosa successa qualche giorno fa anche a Rosi Bindi, ma che è un vizio diffuso anche tra i parlamentari francesi, spesso beccati in momenti ludici su tablet di varie marche sotto gli occhi severi di Marianna. Cosa più grave, da noi le distrazioni si installano anche nello scranno presidenziale. Gianfranco Fini dice spudoratamente al da lui poco stimato Gianluca Pini della Lega Nord di non averlo ascoltato perché preso a fare altro. «Non c'è bisogno di sentirlo, basta leggerlo successivamente» insiste Fini che si becca un «Lei è un cialtrone» dal suo quasi omonimo. Quando su quello scranno sedeva Rosy Bindi certe cose non succedevano e se oggi Rosi gioca con l'iPad mentre si parla di Iva, allora stava sempre all'erta. «Quando la Bindi siede sullo scranno più alto della Camera, gli avversari del Pd sono costretti a soccombere o tacere se il tema non è di suo gradimento», ricorda Palazzolo. Al Senato appare molto meno rigida Rosi Mauro che, alle 12.05 del 20 settembre 2012, interrompe una seduta perché il suo turno è scaduto, chi la dovrebbe sostituire non è arrivato e lei ha un misterioso quanto improrogabile appuntamento. La fuga accende uno sdegno bipartisan con Sandro Bondi che si dichiara esterrefatto e raccoglie l'appoggio persino della Finocchiaro. Lanfranco Palazzolo ha fatto una grande cernita tra le mille stupidaggine ascoltate in questi anni e che lui segue per lavoro, essendo giornalista politico, ma forse anche per piacere, vista la raccolta che ha creato sul suo canale YouTube. Le più divertenti restano le uscite della minutaglia parlamentare, di quelli eletti in sperdute valli per difendere i formaggi locali e che in aula si perdono in strafalcioni, citazioni sbagliate tra latino maccheronico e pidgin english senza alcuna soggezione dei fregi di Sartorio. Però nemmeno i grandi nomi sono esenti dalla tendenza alla bêtise. Alessandra Mussolini dà il meglio quando si esprime con le magliette come The Yellow Kid,  il precursore dei fumetti, ma è indimenticabile quando giustifica il suo aver votato anche per un collega assente dicendo: «Sta in bagno…» con una spontaneità da prima elementare.  Di Antonio Di Pietro è riportato un buon campionario e leggendo le sue sparate dai toni sanguigni pare di sentire il suo inconfondibile accento mentre si rivolge a Berlusconi: «Lei … è moralmente riprovevole perché lei, comprando il voto di alcuni parlamentari, ha violentato la Costituzione!»  Il libro gronda interventi assurdi dei deputati di Italia dei valori, di sicuro i più ruspanti, ma solo perché non erano ancora arrivati quelli dei Cinquestelle. Pare quasi incredibile che il partito dipietrista sia scomparso e suonano agghiaccianti e profetiche le parole di un altro grande desaparecido, Gianfranco Fini, che il 3 agosto 2011, come Presidente della Camera, zittì un prolisso Tonino dicendogli: «Il suo tempo è terminato, onorevole di Pietro».  Sembra quasi il titolo di uno spaghetti-western. di Tommaso Labranca

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