Mughini: Ezio Mauro prima insulta Travaglio poi lo imitaMauro è diventato uguale a Travaglio
IIl direttore della Repubblica ha firmato ieri un editoriale di prima pagina di cui condivido alcuni punti. Che in uno Stato di diritto le sentenze definitive sono definitive e basta. Che innanzi a quelle sentenze i cittadini dal primo all'ultimo sono eguali. Che non esiste «forza» politica che possa alterare questa verità fondamentale. Fin qui d'accordissimo, e voi lettori di Libero sapete di che cosa stiamo parlando. Poi ecco che arriva il dissenso tra me e Mauro, beninteso un dissenso tra persone civili e che si guardano negli occhi. Il dissenso sta nel fatto che a seguire fino in fondo il suo ragionamento da anti-berlusconiano di principio e di metodo, bisognerebbe scaraventare la persona di Silvio Berlusconi in un qualche campo di Dachau riaperto per l'occasione. Voglio dire che bisognerebbe annichilirlo, togliergli ogni dignità, mettergli sul petto la stella dell'ignominia, cancellarlo nel modo più secco dal paesaggio politico italiano di cui pure sono ancora milioni a volerlo protagonista. Ovvio che Mauro non ha fatto riferimento a nessuna Dachau, ovvio che non ne ha parlato affatto, ma il senso morale delle sue parole quello è. Lo stesso senso morale che trapela dalle pagine firmate ogni giorno da Marco Travaglio, uno con il quale Mauro aveva di recente battagliato aspramente e che oggi giornalisticamente e intellettualmente sembra un suo gemello. Miracoli genetici dell'antiberlusconismo ostinato e totale. Dalla Repubblica al Fatto quotidiano al popolo di sinistra nella sua accezione più diffusa, il proposito è quello di vedere Berlusconi in ginocchio. Siamo al picco euforico di quell'antiberlusconismo 24 ore su 24 che ha fatto da canovaccio della storia italiana recente, e cui si è contrapposto un «meno male che Silvio c'è» altrettanto sciagurato. Due contrapposti fervori che stanno disastrando politicamente e moralmente il nostro Paese, o meglio che lo hanno condotto in un tunnel di cui non si vede la via d'uscita. E ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli se a causa di tutto questo ci imbarcassimo nell'ennesima e inutilissima campagna elettorale alla fine della quale saremmo punto e daccapo, e mentre in buona parte del mondo l'economia e gli affari stanno rialzando la testa e questi numeretti con il segno «+» valgono meglio di centomila decreti e perorazioni a favore dello «sviluppo». Andassimo il prossimo autunno a una nuova tenzone elettorale, una volta contati i voti saremmo punto e daccapo. E a meno che qualcuno non si immagini un governo con un bel mucchietto di ministri grillini, magari quelli che a Montecitorio tuonavano contro il presidente della Camera più esibizionista della nostra storia politica. Punto e daccapo. Da una parte gli anti-berlusconiani con i loro editoriali di cui pure condivido molte cose; dall'altra i milioni e milioni di votanti berlusconiani che si accaniscono e non demordono. E del resto come potrebbe essere altrimenti in Italia? Qualcuno deve pur rappresentare il popolo «non di sinistra», quello che per 65 anni ha vinto tutte le elezioni politiche italiane. Non è che tutti spasimano per la Cgil, per tassare il più presto possibile le pensioni da 3500 euro netti al mese, per i pm d'assalto, per le nenie sinistresi sempre e comunque, per i No Tav più eccitati, per i giornali e giornalisti che hanno insultato Francesco De Gregori perché s'era permesso di dire che questa odierna sinistra gli piace poco. Sembrerebbe che in Italia non ci sia una via mediana. O tutto Berlusconi, un santo dalla a alla zeta; oppure niente Berlusconi, e condannato e decaduto da senatore e incandidabile alle prossime elezioni e meglio se domiciliato a Rebibbia che ad Arcore. Non ho ricette per uscire da questo tunnel, da questo contrapposto fanatismo che si alimenta a vicenda. Non starò a seguire gli opposti ragionamenti di costituzionalisti che dicono che Berlusconi va fatto decadere da senatore al più presto oppure, sulla sponda intellettuale opposta, che la sanzione penale a suo danno non può essere retroattiva. Sono ragionamenti sui quali potremmo andare avanti per mesi. A me sembra quanto di più naturale, quanto di più auspicabile, che dopo vent'anni un Berlusconi menomato dalle sentenze già arrivate e da quelle che verranno debba fare un passo indietro dalla prima linea della politica. Mi sembra altrettanto naturale che qualcuno escogiti la formula giuridico-istituzionale che lo protegga sul piano delle libertà personali. Una soluzione quest'ultima che mi sembra naturale e necessaria perché non gioverebbe all'Italia - in nessun modo - che una storia politica per quanto arruffata ma che è durata vent'anni si chiudesse con una spietata umiliazione del suo maggiore protagonista. Non lo so, non lo so affatto se a questo proposito il termine giusto sia «grazia». So quel che fece nel 1946 un ministro della Giustizia che si chiamava Palmiro Togliatti. A un anno di distanza dalla fine di quella tragedia italiana che è stata la Guerra Civile, firmò un'amnistia notevolmente generalizzata di cui si giovarono quelli che avevano combattuto dalla parte dei vinti. E si trattava talvolta di gente che non aveva scherzato quanto all'uso delle maniere forti. Non aveva scherzato affatto. Altro che l'avere indotto in tentazione Ruby la minorenne.