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Mazza: "Fini mi ossessionava col cognato"

Gianfranco Fini

In un libro, Mauro Mazza e Adolfo Urso scrivono la storia di 20 anni di destra: fino a quando gli intrighi hanno seppellito An

Matteo Legnani
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Un viaggio nella destra italiana lungo vent'anni. Dal 1993, anno della candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, al 2013. Quando si compie l'esclusione dalle liste del Pdl di gran parte degli esponenti di An. È questo l'arco di tempo preso in esame da Mauro Mazza e Adolfo Urso per raccontare la «parabola» degli eredi della Fiamma missina nel libro, edito da Castelvecchi, Vent'anni e una notte (382 pp, 19,50 euro), da oggi in libreria. La notte in cui, appunto, Silvio Berlusconi azzera di fatto la presenza degli ex An nel Pdl. Non mancano, corredati da documenti e foto, retroscena inediti sull'ascesa e il declino di Fini. Delle cui mosse entrambi gli autori - Mazza da direttore del Tg2 prima e di Raiuno dopo, Urso come parlamentare e viceministro – sono stati testimoni privilegiati. L'ex presidente della Camera non ne esce bene. Come quando, sono i giorni della rottura con il Cavaliere nel 2010, non esita a definirsi con orgoglio un «kamikaze iracheno», pronto a farsi «esplodere e a morire, pur di sancire la fine politica di Silvio Berlusconi». E questo nonostante una mediazione con l'ex premier che sembrava sul punto di essere raggiunta. Ma Fini, rivela Urso, «ogni volta alza il prezzo, perché vuole la rottura, solo la rottura». Non poteva mancare il capitolo, di cui pubblichiamo un estratto, del rapporto con il «cognato» Giancarlo Tulliani, che Fini cerca di favorire in ogni modo attraverso le pressioni sui dirigenti della Rai a lui più vicini come lo stesso Mazza e Guido Paglia, ex responsabile delle relazioni esterne di viale Mazzini. Ma Fini è solo uno dei tanti protagonisti del ventennio d'oro della destra italiana. Un'avventura che adesso, complice il fatto che An abbia perso la sua battaglia politica «nell'ultimo giro di pista», è costretta a ripartire da zero. Con «forma e leader diversi da quelli del passato». Perché «non servono reduci, ma innovatori». MAURO MAZZA Un anno dopo le elezioni politiche stravinte, nella primavera 2009, si decide il nuovo organigramma della Rai. Mauro Masi, già segretario generale a Palazzo Chigi, è il nuovo direttore generale. Per me si parla con insistenza della possibilità di essere nominato direttore del Tg1, dopo sette anni alla guida del Tg2. Sarebbe un passaggio naturale. Si sa bene che la linea editoriale del maggiore telegiornale del servizio pubblico è sempre in sintonia con quella del governo in carica. È un'altra verità che alcuni non ammettono, ma è un dato consolidato e immutabile. Bene, a un certo punto, comincia a circolare la voce che mi sarà proposta la direzione di Rai Uno, la rete «ammiraglia» della Rai. Insomma, da un ruolo giornalistico a uno manageriale, sia pure di grande rilievo, il più importante nella macchina produttiva dell'azienda. Io manifesto qualche riserva. Ma è lo stesso Gianfranco Fini a rassicurarmi e a incoraggiarmi ad accettare. In fondo – penso – anche il direttore uscente Fabrizio Del Noce è un giornalista e ha fatto un buon lavoro come direttore di rete. Rifletto ancora un po' e mi decido per il sì.   [...] Molto presto capirò anche i motivi della sponsorizzazione di Fini. Mi chiede di tornarlo a trovare a Montecitorio e, nel suo ufficio, trovo un impomatato giovane mai visto prima. Me lo presenta. È Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, la compagna di Gianfranco. Il ragazzo vuole produrre programmi per la tv. Fini mi chiede di dargli una mano. Ci tiene moltissimo e mi affida quella patata bollente. Tulliani chiede subito di realizzare trasmissioni importanti attraverso una sua società – mi dice – che conta buoni autori e ottime idee. Lo vedo un paio di volte: non ha misura, né esperienza, né buone maniere. Valuto un paio di sue proposte. Una mi pare buona per un piccolo spazio pomeridiano: una rubrica di quindici minuti sul rapporto figli-genitori. Gli ascolti sono buoni. «Per quest'anno bisogna accontentarsi, facciamo bene questo e poi si vedrà», provo a spiegargli. Ma Tulliani non si accontenta. Ha fretta e smania. Esagera. Una volta, al telefono, è addirittura sgarbato. Gli rispondo per le rime. Decido di non vederlo né sentirlo più. Mando a Fini un biglietto, gli chiedo di risparmiarmi ogni ulteriore contatto con il «cognato» e gli suggerisco di tenerlo a freno, anche perché circolano voci di altre sue smanie, con altri dirigenti Rai e con esponenti politici di governo. Sono certo che il mio rapporto trentennale con Fini non ne risentirà. Invece, da allora, non l'ho più visto né sentito. Le sue scelte politiche successive, per me scellerate, faranno il resto. ADOLFO URSO. Questo tuo racconto conferma quello che, dal 2009, è sempre più evidente. Nelle decisioni e nelle scelte di Gianfranco Fini il fattore privato diventa prevalente, anche perché non c'è più un partito come An che, strutturalmente indirizzato, ha sempre tutelato il suo leader. Nel caso della Rai, quei suoi fattori personali mutano la politica e l'atteggiamento della Destra non berlusconiana nei confronti del servizio pubblico. Da sempre, dai tempi del vecchio Msi, si è tentato di conquistare una nostra presenza, sia pure marginale, per esercitare un'opera di moralizzazione e di controllo. Il diritto di rappresentanza all'interno della Rai è stato una battaglia storica per il Msi. Negli anni Ottanta, il missino Guglielmo Rositani venne nominato sindaco revisore dei conti e riuscì a incidere, vera spina nel fianco per amministratori allora abituati a spese facili spesso fuori controllo. All'epoca, Rositani era vicino a Franco Servello, a sua volta in relazione con l'imprenditore tv Silvio Berlusconi, ma certamente non succube dei suoi interessi. Dal 1994, con la Destra al governo, il compito istituzionale di occuparsi della Rai è assunto innanzitutto dal ministro Tatarella, che [...] considera quel ruolo assolutamente decisivo sia per la nostra proiezione pubblica sia per limitare il potere di Berlusconi. Alla sua morte, il pallino passerà di fatto a Gasparri che lo contenderà dapprima a Storace e, successivamente, a Landolfi, presidenti della commissione di vigilanza e quest'ultimo, infine, anche ministro (2005-2006). Forse attraverso questi ultimi, allora molto vicini a lui, Fini tenta di avocare al vertice del partito la questione-Rai, altrimenti appannaggio di Gasparri che Fini considera da tempo troppo allineato al Cavaliere. MAURO MAZZA. In effetti, l'entrata in scena di Tulliani crea difficoltà, imbarazzi e rotture. È nota la vicenda che ha avuto protagonista Guido Paglia, responsabile Rai per le relazioni esterne e animatore di un centro studi che per lungo tempo ha tenuto assieme moltissimi dirigenti, giornalisti e dipendenti vicini ad An. La sua lite con Fini risale al 2008, quando gli viene presentato il neo-cognato [...]. Paglia prova a dargli una mano. Ci riesce relativamente. Fini lo chiama alla Camera e consente a Tulliani di insinuare, davanti a lui, che Paglia abbia «altri interessi» che gli impedirebbero un intervento in suo favore. Fini non apre bocca. Paglia, furioso, si alza e se ne va. Fine del rapporto. Guido racconterà l'episodio solo molto tempo dopo, saputo di un intervento personale di Fini per impedire che lui fosse nominato vicedirettore generale della Rai. © 2013 Lit Edizioni srl Per gentile concessione dell'editore  di Mauro Mazza e Adolfo Urso

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