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Matteo Salvini e la mafia, il punto di non ritorno del Fatto. Ordine: demolirlo come il Cav, schifo in prima

Giulio Bucchi
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Ai capi di imputazione del Fatto quotidiano contro Matteo Salvini mancava solo la mafia. Obiettivo raggiunto, subdolamente, in prima pagina venerdì 14 giugno: la vignetta di Mannelli trasferisce a matita pensieri e parole del direttore Marco Travaglio, che da qualche giorno sta cavalcando la vicenda Arata-Siri per colpire direttamente il leader della Lega.  Leggi anche: Salvini e le tangenti, stavolta Vauro rischia grosso. La vignetta in odor di querela Nel "suggestivo" schizzo del vignettista del Fatto, si scorge un Salvini intento a baciare il rosario, al grido "Matteo Messia Denaro". Un sapido, velenosissimo calembour che gioca con i nomi del Capitano, il suo ruolo politico da salvatore della patria (di sicuro, quella leghista) e gli affari legati all'eolico che hanno portato alle indagini sull'ex sottosegretario leghista e alle manette per Arata padre e figlio, ex consiglieri della Lega per le politiche energetiche. Risultato? Nome molto, troppo simile a quello di Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa Nostra tirato in ballo nella vicenda in quanto gli Arata erano soci occulti di Vito Nicastri, considerato vicinissimo al boss. Una equazione politica da sogno, per Travaglio.

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