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Emilia Romagna, Pietro Senaldi su Marco Travaglio: "Si è ridotto a chiedere di votare per il Pd"

Gabriele Galluccio
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D' accordo dirsi allievi di Montanelli, ma l'invito a turarsi il naso e votare Pd proprio non ce lo aspettavamo da Travaglio. Il direttore del Fatto Quotidiano contro i Dem in questi anni ne aveva dette perfino più di Grillo e Di Maio. È vero che la coppia pentastellata poi si è rimangiata tutto, ma Beppe è un comico e Luigino è la versione buonista di Cetto Laqualunque, nessuno dei due si prende sul serio davanti allo specchio, mentre il divo Marco si crede la reincarnazione di Napoleone, o quantomeno di Robespierre. Per approfondire leggi anche: "La sinistra ha già perso e dovrà rivedere il governo" Leggere ieri nell'editoriale del Fatto l'appello ai grillini, ormai i soli sui quali il giornale delle manette ha presa, al voto disgiunto in favore di Bonaccini in Emilia-Romagna e Callipo in Calabria ha fatto impressione. Tanto per intendersi, non ci si può imbastire uno spettacolo teatrale sopra, come è solito fare l'istrionico direttore con i suoi migliori cavalli di battaglia. Per giustificare la travagliata giravolta il dotato collega ha dovuto evocare scenari apocalittici e attingere alla sua pirotecnica fantasia. «Salvini ha trasformato il voto regionale in un'ordalia sul governo nazionale. Non possiamo permetterci di far vincere simili squadristi» ha spiegato. Ha allegato al suo foglio anche una vignetta dove indirettamente attribuiva all'ex ministro dell'Interno la responsabilità di una scritta antisemita apparsa su una porta a Mondovì, fingendo di ignorare che una settimana fa il leader leghista ha organizzato e presieduto un convegno contro l'antisemitismo. Ci mancava solo la minaccia di un'invasione di cavallette o il parallelo tra la Borgonzoni e la Petacci o la Santelli e la Minetti per completare lo scenario tragicomico. In realtà il centrodestra a trazione leghista governa già in 12 regioni italiane su 20, per lo più con risultati migliori rispetto ai territori retti da amministrazioni di sinistra, e se espugnasse pure Bologna e Reggio Calabria non ci sarebbe nessuna rivoluzione, il numero salirebbe semplicemente a 14. Ovvio, Salvini, Meloni e Berlusconi chiederebbero elezioni anticipate, per uniformare la rappresentanza parlamentare alle opinioni degli elettori, ma non è affatto detto che ci riescano; e poi, un sostenitore della Costituzione più bella del mondo, per di più terrorizzato da chi pretende pieni poteri, non può mostrarsi turbato da un eventuale esercizio della democrazia. LO SLALOM Ma Travaglio è così. Brilla per ingegno, meno per coerenza. È un appassionato amante della legge, però solo a patto che sia lui a interpretarla secondo come meglio gli va. Per seguirlo poi nei suoi slalom politici non basterebbe Alberto Tomba. Anche qui, è un fervido coltivatore dell'erba voglio. Si innamora dei personaggi più improbabili e si sforza di trasformarli in statisti, rimanendone inesorabilmente deluso. In questo nutre una passione, però forse sarebbe più azzeccato il termine perversione, per i legulei, in particolare per i pm. Quando il Fatto vinse la sua battaglia personale e Berlusconi cadde per un'imboscata politico-giudiziaria, una condanna per evasione fiscale di una società nella quale non aveva cariche che gli costò l'esclusione dal Parlamento applicando retroattivamente una condanna grazie a una forzatura del diritto, il giornale si trovò costretto a cambiare ragione sociale e si cimentò nel ruolo di king maker. Il primo amore fu una minestra riscaldata, Di Pietro, poi caduto travolto politicamente dagli scandali del suo partito, l'Italia dei Valori. Immobiliari. Meglio non andò con Ingroia. Travaglio provò a truccarlo da statista prima che la magistratura lo inducesse alle dimissioni, dislocandolo tra gli stambecchi della Val d'Aosta, e i francesi gli vietassero di salire sugli aerei in quanto ritenuto molesto. Altra insana passione, galeotte le Procure, è stata De Magistris. IN CAMPO Per esclusione, siccome la gente normale gli fa tutta schifo, l'istrione del giornalismo nostrano ha finito per buttarsi sui grillini, prendendo una sbandata per la Raggi; intellettuale s'intende, ma nel caso di Virginia è decisamente peggio. È con Cinquestelle che il duro e inflessibile Travaglio si è dimostrato capace di amare. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che ha sopportato Lezzi, Toninelli, Fico, Taverna, Crimi, intervistati a giro come fossero oracoli, e ha scambiato Di Battista per un reporter - ahahahahahahah - anziché per un soggettone che non sfigurerebbe nella galleria di romanità varia inscenata dal primo Carlo Verdone. Con M5S Travaglio ha sognato di fare come Repubblica con il Pd, il bello e il cattivo tempo. Ma Grillo l'ha fregato, gli ha messo di mezzo Di Maio, che andava d'accordo con Salvini più che con Davigo, e ora si è consegnato ai dem, trasformando l'erba voglio di Marco in una prateria di non ce la faccio più. Siccome M5S è morto e i magistrati hanno capito che fare politica non gli conviene, perché hanno più potere nei tribunali che in Parlamento e per di più con la toga lo stipendio suntuoso è assicurato a vita, al fondatore del Fatto non resta che tifare per il voto anticipato e candidarsi contro Salvini. Sarebbe senz'altro cento volte meglio lui di tutti coloro che ha incautamente sponsorizzato. Altrimenti, gli tocca reggere il moccolo a Conte, scrivendo che ha le idee chiare, governa con piglio deciso ed è rispettato nel mondo e fare finta che Bonafede capisca qualcosa di giustizia. di Pietro Senaldi

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