Cerca
Cerca
+

Coronavirus, Giuseppe Remuzzi spegne l'allarmismo: "Perché l'aumento dei contagi è una cosa buona"

Pietro Senaldi
  • a
  • a
  • a

 «Stiamo attenti a non importare il Covid. Molti tra i focolai che si sono sviluppati recentemente in Italia arrivano da fuori. Qui il razzismo non c'entra, evitiamo di ripetere gli errori dello scorso febbraio. Adesso che l'Italia è più avanti degli altri nel contenimento dell'epidemia, cerchiamo di non buttare via il lavoro fatto. Non rimescoliamo le carte, prima di riaprire a ingressi senza le precauzioni del caso dobbiamo accertarci che gli altri Paesi siano arrivati dove siamo noi adesso». Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, aveva rilasciato un'intervista a Libero all'inizio di aprile, quando l'Italia era chiusa in casa. In piena pandemia aveva dichiarato che a giugno la situazione si sarebbe risolta, basandosi sull'evoluzione dei contagi a Wuhan e nell'Hubei. La previsione si è rivelata azzeccata al minuto. Siamo tornati a sentirlo per capire come davvero stanno andando le cose oggi, quanto dobbiamo essere all'erta per un'eventuale seconda ondata e cosa possiamo fare nel nostro piccolo per restare in sicurezza.

La prima raccomandazione del professore è fare sia il vaccino anti-influenzale sia quello per lo pneumococco, perché «se prendi il Covid e in più si aggiungono l'influenza o una polmonite, la situazione può diventare difficile, e poi perché i sintomi del corona sono simili a quelli di una normale indisposizione stagionale e quindi una profilassi aiuta nella diagnosi». Remuzzi non è un allarmista ma invita a osservare le precauzioni suggerite dal governo, distanziamento e mascherina nei luoghi chiusi. «All'aperto è molto raro contagiarsi» spiega, «pensi che a Wuhan sono stati individuati 364 focolai e tutti, tranne uno, si erano sviluppati in ambienti chiusi». Per evitare che il virus ci invada come già avvenne lo scorso inverno dobbiamo conoscere luoghi a rischio e abitudini sbagliate.

«I posti più pericolosi sono i macelli, le aziende di trasporti, le feste con tante persone, le discoteche, che è giusto restino chiuse. Anche se poi bisogna riconoscere che l'ambiente dove più ci si contagia è la famiglia, dove ci si passa il virus l'uno con l'altro, un po' come succede sulle navi dove i profughi sono in quarantena. Un discorso a parte meritano residenze per anziani e ospedali, ma qui adesso c'è grande attenzione. Dobbiamo guardarci da chi viene dai Balcani, dagli Usa e dal Brasile. L'Africa? Nessuno sa davvero come sia la situazione laggiù».

In piena pandemia pareva che gli immigrati non si ammalassero, ora arrivano con i barconi già contagiati: come mai?
«Forse perché molti di quelli che erano già qui avevano fatto il vaccino contro la tubercolosi, mentre chi sbarca ora non è vaccinato, quindi potrebbe ammalarsi e contagiare più facilmente. ma è solo un'ipotesi».

L'impressione è che l'Italia sia circondata dal virus
«Non facciamoci trarre in inganno dal numero dei contagiati, che poi vuol dire persone con tampone positivo. Se salgono, è anche perché ora li sappiamo trovare, e questa è una buona notizia. Forse gli altri Paesi li cercano ancora meglio di noi».

Professore, ci scatti una fotografia della situazione
«Sta andando bene. La situazione in Italia è sotto controllo. Qui a Bergamo non arrivano più malati da maggio e anche nel resto del Paese le terapie intensive non hanno quasi più pazienti di Covid-19».

Però continuiamo a leggere che i contagi sono in risalita, addirittura l'indice di trasmissione sarebbe tornato sopra l'unità, che è la soglia varcata la quale l'epidemia riparte
«L'aumento dei contagi riflette il numero dei positivi al tampone, dovuto in parte al fatto che ne facciamo di più, visto che adesso chiunque si ricovera in ospedale, per qualsiasi ragione, viene sottoposto al test. Il dato importante però è che i positivi che scopriamo hanno una carica virale bassa, almeno in Lombardia, e sono per lo più asintomatici. Finché non aumentano i ricoveri per Covid in pneumologia e in terapia intensiva possiamo stare abbastanza tranquilli, perché il contagio non si traduce in malattia».

Professore, non teme di essere accusato di negazionismo come il suo collega Bassetti?
«Bassetti dice cose sacrosante. Ha salvato centinaia di vite umane e si sente dare del negazionista, è un controsenso. Bassetti, come molti medici, vede cosa accade in ospedale e lo descrive».
La comunità scientifica però è divisa
«No, è che il puzzle è complicato e ognuno vede i suoi pezzi. I medici conoscono i malati, i virologi registrano che il virus circola ancora, ed è vero. Gli epidemiologi studiano le pandemie e cercano di prevedere cosa succederà. Quelli bravi di solito ci vanno vicino, ma poi ci sono quelli, anche loro bravissimi, che tendono a esagerare. I professori dell'Imperial College di Londra per esempio, i più celebrati e ascoltati, alle volte sbagliano, anche di tanto. Per esempio, nel 2005 avevano previsto che l'influenza aviaria avrebbe ucciso 150 mila persone nella sola Gran Bretagna, invece ha fatto meno di 300 vittime in tutto il mondo. E di errori simili ce ne sono altri».

I malati di adesso sono pochi e in condizioni migliori di quelli di febbraio perché abbiamo imparato a curarli?
«No. O meglio, abbiamo imparato a curarli, ma questa non può essere la spiegazione per quelli che non si ammalano. Piuttosto, il virus ha una carica diversa da prima, tant' è che con i tamponi di adesso si fa fatica a infettare le cellule in coltura, almeno in Lombardia».

Allora il Corona è mutato?
«Tutti i virus cambiano, questo del Covid-19 muta anche lui, ma meno degli altri coronavirus e le variazioni semmai lo hanno reso più trasmissibile, e questa è una pessima notizia».

Professore, mi sembra che su questo virus ci sia ancora molto da imparare, sbaglio?
«Sono tante le cose che ancora non sappiamo. C'è una verità scientifica, per raggiungere la quale occorrono molto tempo, studi e verifiche, e poi c'è quel che accade tutti i giorni, ed è giusto che gli esperti parlino della realtà, anche se senza dare certezze assolute perché non ha ancora raggiunto la dignità di una pubblicazione scientifica».

Se mi ammalassi di Covid oggi, come mi curerebbe?
«Dipende. Se avesse difficoltà di respiro le darei un antinfiammatorio e l'ossigeno. Per chi viene ricoverato con forme gravi si è avuto qualche buon risultato con un antivirale (Remdesivir), cortisone ed eparina, perché ci sono casi in cui l'ossigeno, di cui c'è sempre bisogno, non riesce a passare dagli alveoli polmonari al sangue per via di trombi che limitano la circolazione».

Non mi intuberebbe?
«Solo se non ci fossero alternative e il suo organismo fosse in grado di reggere lo stress».

Ma è vero che muore di Covid solo chi ha già altri gravi problemi di salute?
«Non la si può dire così. Diciamo che è abbastanza raro che muoia una persona sotto i sessant' anni che non abbia altre malattie. Salvo che non ci sia un assetto genetico particolarmente sfavorevole».

Cosa che uno scopre solo quando diventa positivo?
«Abbiamo studi che ci dicono che quattro persone su dieci non si ammaleranno mai di Covid-19 in forma grave perché hanno un sistema immunitario capace di distruggere il virus molto rapidamente. Un altro 35% è immune perché ha già incontrato altri coronavirus simili a questo, quelli del raffreddore per esempio, che in certi individui inducono una reazione immune che protegge anche nei confronti del virus di Covid-19».

È sempre del parere che il governo ha sbagliato a chiudere le scuole?
«Nel momento di picco è stato giusto chiudere. A giugno però si sarebbe potuto riaprire».

Si è temuto che i bambini diventassero degli untori
«I bambini hanno una carica virale alta nel naso e in gola ma di solito non si ammalano e non è ancora chiaro se sappiano contagiare. Questo vale almeno per l'asilo e per tutte le elementari. Ma molti sostengono che sia così fino ai 14-15 anni. D'altronde, non si sono registrati focolai nelle scuole primarie».

Quindi è giusto riaprire a settembre?
«Sì, qualche piccolo rischio lo si deve accettare e va valutato nel contesto generale. Per esempio negli Usa, dove l'epidemia è fuori controllo, fino a giugno sono deceduti 28 bambini per ragioni legate in qualche modo al Covid; ma nello stesso periodo ne sono morti quasi diecimila tra incidenti stradali, tragedie domestiche, violenze o altre malattie. Se tieni ancora chiusa la scuola è concreto il rischio di perdere un'intera generazione dal punto di vista educativo».

Teme la seconda ondata?
«Il fatto che attualmente la situazione sia tranquilla non significa che tra un mese le cose non possano peggiorare. Nessuno può sapere se ci sarà la seconda ondata. Gli elementi certi sono solo tre: l'inverno è più favorevole alla diffusione del virus, stare all'aria aperta riduce i contagi, come ha dimostrato il fatto che nessuno si è ammalato dopo i festeggiamenti in piazza per la vittoria del Napoli in Coppa Italia o dopo i cortei anti-razzismo in Usa, e almeno il 30% di chi si è ammalato di Covid patirà qualche sequela respiratoria con il ritorno della cattiva stagione».

Quanto siamo preparati a un ritorno del Covid?
«Gli ospedali sono pronti. Siamo preparati sia a livello di diagnostica che di terapia. Abbiamo allestito una macchina in grado di fare i tamponi e isolare i focolai. Quello che mi preoccupa è l'organizzazione sociale. Si fanno i test, si rintracciano i contatti, e dopo? Con il trasporto pubblico siamo a posto? E con la scuola per i più grandi? E nei luoghi di lavoro? Mi sembra che qui siamo ancora un po' indietro, anche perché il Paese non riparte con quelli che lavorano da casa; almeno a mio parere».

Cosa pensa della relazione del Comitato Scientifico desecretata di recente?
«La zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo probabilmente andava fatta, ma la verità è che l'Italia non era assolutamente preparata a quello che stava per succedere. Abbiamo perso almeno quattro settimane. E non è vero che la Cina è stata parca di informazioni: ai primi di febbraio la rivista scientifica Lancet aveva già pubblicato i dati allarmanti di Wuhan, con tantissimi dettagli ma i nostri scienziati li hanno sottovalutati».

Crede nell'arrivo del vaccino?
«Ci stanno lavorando quattro grandi multinazionali farmaceutiche e stanno avendo buoni risultati. Tra due anni ci sarà di sicuro. Prima è possibile, anche all'inizio del 2021, ma non potrà risolvere ogni problema, perché bisogna vedere se è sicuro, quanto dura l'immunità e poi non potrà essere subito disponibile per miliardi di persone».

Dovremmo attendere l'immunità di gregge?
«Questa è una storia molto complicata. Per raggiungere l'immunità di gregge con il vaccino, nel caso di questo virus, bisogna aver vaccinato almeno il 60% della popolazione. Perché succeda con chi si contagia e si ammala pare sia sufficiente il 43% di contagiati, ma consideri che nella Bergamasca siamo intorno al 30% mentre a Milano è molto meno. Poi però c'è un lavoro appena pubblicato su Science secondo il quale, in certe circostanze si può avere immunità di gruppo anche solo con il 10% della popolazione contagiata, cosa che in certe zone d'Italia già c'è Però ci avventuriamo in un campo che è ancora per certi versi molto misterioso». 

Dai blog