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Sabino Cassese a Senaldi: "Se processi Salvini, processi pure lui", la verità su Gregoretti: perché in tribunale deve finirci Conte

Pietro Senaldi
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Vacanze di lavoro per il professore Sabino Cassese, in quel di Ansedonia. Giurista, giudice emerito della Corte Costituzionale e accademico prestato al giornalismo, da qualche mese è una spina nel fianco del governo Conte, al quale non ha risparmiato critiche. Dato il pulpito dal quale provengono, le osservazioni sulla disinvoltura con la quale il premier aggira la Costituzione con i suoi decreti, il prolungamento dello stato d'emergenza e il sottrarsi alle proprie responsabilità nel caso del processo a Salvini per sequestro di immigrati, hanno di fatto minato la credibilità dell'esecutivo.

Professor Cassese, dai suoi interventi più recenti traspare una preoccupazione generale per le sorti del Paese: cosa la inquieta di più?
«La liquefazione dei partiti, la partecipazione politica attiva molto ridotta, l'instabilità dei governi, la scarsa attitudine dei politici alla cooperazione, tutti fattori che spingono la politica sul "day-to-day", perdendo di vista i grandi problemi di fondo (basso tasso di scolarità, innanzitutto)».

Come giudica lo stato della democrazia in Italia attualmente e ritiene che ci sia stata una regressione?
«Democrazia vuol dire innanzitutto "people' s empowerment" e l'attitudine del popolo a partecipare alla vita politica in modo attivo e consapevole è legata al grado di istruzione (basta leggere Enrico Moretti, "La nuova geografia del lavoro", Mondadori, 2013), che in Italia, da tutti i punti di vista, è basso. E la classe politica non ne è consapevole: basti pensare al fatto che in questi giorni l'attenzione è rivolta ai banchi di scuola, mentre si dovrebbe discutere del grado di istruzione della società. Quelli che si riempiono la bocca della parola "popolo" dovrebbero capire che il vero modo di dare potere al popolo consiste nel rendere la società più istruita. Invece, basso tasso di scolarizzazione, basso numero di diplomati e laureati, basso tasso di conoscenza di una seconda lingua, metà degli italiani analfabeti, o analfabeti di ritorno, o analfabeti funzionali».

Quando è iniziato il processo involutivo?
«Non so se si sia trattato di involuzione o di mancata evoluzione. Dal 1962 non abbiamo una vera riforma del sistema scolastico. Nel frattempo il mondo è cambiato. Se va in Germania o in Olanda, scopre che tutti sono in grado di parlare una seconda lingua».

Sarebbe tollerabile un rinvio del voto delle Regionali, come già avvenuto peraltro a giugno?
«Abbiamo dimostrato capacità di rispettare regole e disciplina. Abbiamo imparato a stare in fila dinanzi ai negozi. Perché non dovremmo fare lo stesso ai seggi elettorali?».

C'è stato qualche abuso di potere da parte del governo legato al Covid?
«Ho più volte scritto e detto che il governo ha imboccato due strade sbagliate. Ha trattato la pandemia come una calamità che richiedeva interventi di protezione civile, invece che interventi sanitari. Ha reagito con strumenti inappropriati, salvo poi correggersi, riconoscendo il proprio errore. A questo si aggiunge la confusione delle lingue dei dpcm e delle circolari, una Babele che sta dando lavoro ai magistrati. Altro errore: non aver unificato gli interventi di profilassi internazionale, spettanti allo Stato, al Servizio sanitario che si chiama nazionale, non è la somma di tante repubbliche sanitarie indipendenti».

L'opposizione parla di dittatura sanitaria: lei cosa ne pensa?
«La Costituzione consente e noi siamo disposti ad accettare anche provvedimenti draconiani, purché siano proporzionati alla situazione. Perché protrarre la dichiarazione dello stato di emergenza, se non c'era emergenza in atto? Non si confonde emergenza con urgenza? Non si dimentica che "emergenza" indica un pericolo che "emerge", di cui non si conoscono gli sviluppi, mentre a luglio della pandemia si sapeva, se ne conoscevano i modi di diffusione, si conoscevano i modi di contrastarli con efficacia?».

Ritiene ci sia chiarezza attualmente nell'informazione che il governo sta dando in merito agli sviluppi del Covid: Non sappiamo quanti stanno male dei positivi né quanti pazienti vengono ricoverati per il virus?
«Aver trattato la pandemia come questione di protezione civile ha comportato lo spostamento dei poteri a Palazzo Chigi, sottraendola al Ministero della Salute. Doveva esser quest' ultimo l'autorità che certificava lo stato di salute degli italiani, e i pericoli, e che dettava le precauzioni».

E ritiene ci sia stata chiarezza nella gestione passata dell'informazione?
«Il meccanismo di rilevazione, lasciato in troppe mani, ha prodotto risultati ondeggianti e talora contraddittori. Se è chiaro che dalle rilevazioni (i "tamponi") dipende l'emersione dei numeri di contagiati, bisognava programmare numeri costanti (e costantemente crescenti) di rilevazioni, rapportando ad essi i numeri dei contagiati e dei morti. Un certo disordine era ammissibile nella prima fase, non lo è ora. Lo stesso può dirsi nelle esternazioni degli esperti. Perché non far parlare soltanto l'Istituto superiore di sanità? Troppi cuochi fanno una pessima cucina».

Molti si sono scagliati contro l'abuso dei dpcm: lei cosa ne pensa e sarebbe pensabile un'altra stagione di dpcm? Se sì, a quali condizioni?
«Sono stati troppi, e troppo contraddittori. Sono stati lo strumento sbagliato. E il parlamento non ha presidiato a sufficienza la produzione di dpcm. Per non parlare del modo in cui erano scritti».

Da costituzionalista: cosa non funziona nel nostro sistema parlamentare, che produce governi deboli e leader imbonitori?
«Lo spostamento progressivo di poteri dal parlamento al governo (il primo ha assistito passivamente alla moltiplicazione di quello strumento straordinario che sono i decreti legge). L'incapacità dei governi di programmare la propria e l'altrui attività. La diffusione dell'idea che governare voglia dire solo negoziare. La scarsa capacità di progettazione. Se uno studioso di scienze del management entrasse a Palazzo Chigi e vedesse come si governa, se ne ritrarrebbe inorridito, pensando che si è all'età della pietra dello "scientific management", cioè all'800».

Il taglio dei parlamentari fa bene, fa male, non fa nulla?
«Pannicelli caldi: conta la qualità, non la quantità». Lei è stato criticato per aver partecipato al convegno sul Covid organizzato in Senato da due esponenti dell'opposizione. Nessuno ha attaccato ciò che ha detto, ma le hanno rimproverato di legittimare con la sua presenza l'opposizione. Che lezione ne ha tratto? «Che si giudica per gli elementi esteriori (dove, con chi), non sulla base di quelli di contenuto (quel che si è detto, con quanta libertà)».

Siamo tornati ai guelfi e ghibellini per cui non importa ciò che dici e che fai ma quel che sei, e se sei dei miei ti perdono tutto?
«Sì, contano gli schieramenti, non i contenuti». Non ravvisa una sorta di violenza culturale nella determinazione con cui la sinistra porta avanti le proprie idee, dall'immigrazione alle nozze gay alle quote rosa, tutto è dogma, nulla è discutibile? «La politica è progetto e dialogo. Il Parlamento si chiama così perché lì si parla. Quindi, il rifiuto del dialogo è comunque un fatto negativo per la democrazia».

Capitolo giustizia: cosa ne pensa del caso Palamara?
«È stato un indizio. Ha rivelato pubblicamente una malattia grave, che gli addetti ai lavori conoscevano. Ancor più grave la lentezza con la quale si sta procedendo alla somministrazione della medicina. La sensazione è che la magistratura non voglia far pulizia dentro se stessa. Le procure hanno un potere enorme e gli altri giudici non si oppongono. Manca la forza morale e culturale per rimediare a questa situazione e la riforma del Csm non servirà a nulla».

C'è uno sbilanciamento dell'equilibrio dei poteri a vantaggio della magistratura?
«Anche qui la malattia si conosceva. Comincia con la lunghezza dei processi, continua con l'assenza di autocontrollo delle procure, produce "naming and shaming" (additare la pubblico ludibrio in piazza, senza processo), tutto alimentato da un'idea, prevalsa e accettata, della magistratura come cittadella non solo indipendente, ma anche autogovernantesi».

I danni d'immagine alla magistratura prodotti dall'intercettazione su Salvini da indagare a ogni costo in quanto nemico politico sembrano indelebili: come ci si può rimediare?
«Non sono il solo ad avere scritto anni fa che l'aumento delle intercettazioni era una tendenza pericolosa. Purtroppo, per molte ragioni, che sarebbe lungo elencare, l'"État-puissance" ha rinunciato a utilizzare altri strumenti di prova, anche perché più mirati, mentre le intercettazioni consentono quelle tecniche da medioevo che consistono nel rendere pubbliche conversazioni (spesso tra terzi) non rilevanti per le accuse specifiche, ma in grado di far ricadere sugli intercettati un giudizio nello stesso tempo morale o di stile, alimentato dall'amore per il pettegolezzo e del curiosare nella vita degli altri».

Molti giuristi ritengono che non si può processare Salvini senza coinvolgere anche la presidenza del Consiglio, alla quale i ministri riportano: lei cosa ne pensa?

«Se un ministro dell'Interno segue un orientamento, quello non può che esser un orientamento governativo. Il ministro dell'Interno è troppo importante per pensare che, quando si esprime lui, non si esprima il governo. Basti pensare che dall'unità d'Italia fino a uno degli ultimi governi De Gasperi (con una breve parentesi in periodo fascista) le cariche di ministro dell'interno e di Presidente del Consiglio dei ministri erano legate e che la Presidenza del Consiglio era al Viminale fino a uno dei governi Fanfani».

A proposito di giustizialismo: i partiti avrebbero dovuto difendere i propri esponenti che hanno incassato legittimamente il bonus?
«Non so chi l'abbia fatta più grossa: se il governo che ha scritto la norma che non poneva limiti alla fruizione del bonus o il Parlamento che non ha fatto altrettanto o i parlamentari (ma non solo loro) che ne hanno approfittato, in assenza di bisogno».

Come si può salvare l'Italia? Si parla tanto di riforme...
«Ha mai visto qualcuno che affronti i costi di un investimento, per regalarne i benefici ai propri avversari? Sarebbe necessario riformare la pubblica amministrazione, un'opera che richiede da otto a dieci anni di lavoro continuo. Bisognerebbe sviluppare la sanità "territoriale". Il sistema scolastico - come dicevo all'inizio - andrebbe riformulato, nell'ambito di un progetto complessivo di sviluppo dell'istruzione, che vada anche oltre la scuola. All'inizio del 900, gli Stati Uniti erano ancora per molti aspetti un paese in via sviluppo. Divenne presto il leader indiscusso nel campo dell'istruzione: unico tra in paesi industrializzati, decise di aprire a tutti la scuola secondaria superiore. Oggi nel mondo la linea di discrimine non passa tra ricchi e poveri, ma tra persone istruite e persone senza istruzione. Una maggiore eguaglianza si potrà avere diffondendo l'istruzione. E noi discutiamo dei banchi di scuola».

 

 

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