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Giuseppe Conte, lo psichiatra Paolo Crepet: "Comunicazione da incubo". Facci: "Premier abulico o ciclotomico?"

Filippo Facci
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Un parere psichiatrico su Giuseppe Conte in effetti mancava: il problema è che coincide con quello (poco tecnico) del barista qui di sotto, anche perché a vergare la perizia è stato lo psichiatra Paolo Crepet che da molti anni si sforza di parlare la lingua del popolo, peraltro con buoni risultati. Crepet - non tutti lo sanno - è uno psichiatra serio, quindi anzitutto è un medico, ha scritto e curato saggistiche per niente nazional-popolari anche se i più lo ricordano come ben pagato opinionista da Bruno Vespa: dopodiché anche la lingua del popolo è diventata inarrivabile (roba da etologi-zoologi, non da psichiatri) e anche Crepet è passato di moda: però la dice giusta lo stesso. Su Giuseppe Conte dice questo: «Ha una comunicazione da incubo: se un giorno mi dici una cosa e un altro giorno ne dici un'altra Il governo deve rispettarci, devono dirci che cosa si farà non adesso, ma dal 10 dicembre, alla fine dell'anno. E questo non lo dice nessuno». E in effetti Conte naviga a vista, e c'è nebbia. «Vogliamo scatenarci a capodanno e fare come quest' estate? La comunicazione deve essere chiara, univoca e coerente. Se vuoi essere primo ministro», dice ancora Crepet, «devi essere autorevole anche nel dare brutte notizie, come un medico. Non c'è cosa peggiore che guardare un paziente e dire: mah, vedremo, aspettiamo un'altra settimana Ma tu, per quella settimana, non dormi perché hai avuto una comunicazione imbarazzante: ma quale sereno Natale? Sereno de che? Diciamole le cose».

 

 

 

Abulico o ciclotomico? - In termini psichiatrici il caso Conte denoterebbe sintomi di abulia o ciclotimia (questo lo diciamo noi, non Crepet) da intendersi come disturbi dell'umore. L'abulia è una condizione patologica caratterizzata da volontà cronicamente debole o insufficiente: impedisce di prendere decisioni autonome e di attuare iniziative, compiere un'azione che si sa necessaria; l'abulico disperde energie in più attività contemporanee, ma non riesce a concluderne nemmeno una. Poi dipende dal periodo, dai sondaggi e da quanto scassa il tuo portavoce: e qui potrebbe subentrare la ciclotimìa, disturbo caratterizzato da alternanza di depressione e ipomania, dunque iperattività e creatività in opposizione ad apatia, lentezza di riflessi e indecisione a tutto: nulla che tuttavia comprometta gravemente la vita sociale e lavorativa (e governativa) dell'individuo. Ma torniamo a Paolo Crepet, che non la mette giù così dura. È peggio: «Questa cosa non finirà con i decreti ministeriali, finirà con la distribuzione popolare dei nuovi farmaci e con la distribuzione del vaccino: ci vorranno mesi». E questo è un parere tecnico ma anche una voce di popolo. Poi Crepet torna giustamente al bar e la mette sul buon senso: «Certe misure dovremo tenerle fino a quando non ci saranno le terapie, non prendiamo in giro quei poveracci dei ristoratori e tutti gli altri. Ma perché qualcuno non si è dimesso? Ci sono delle responsabilità chiare e tonde, penso che tutto il settore sanitario, e non parlo solo del ministro, ha fatto acqua perché non sono state fatte le cose che bisognava fare quando c'era il tempo». Congiuntivo a parte, non fa una piega. Un nuovo lockdown nazionale? «È come la ricaduta. Quando eravamo ragazzi, e facevamo gli scemi uscendo dopo soli due giorni di febbre, c'era la ricaduta: i nostri genitori giustamente ci davano degli imbecilli. Ora c'è un misto di sensi di colpa, nel senso che abbiamo capito che non è tutta colpa del virus: è anche debolezza nostra, perché abbiamo fatto di tutto perché il virus tornasse». Così disse lo psichiatra Paolo Crepet a Radio Cusano Campus, ieri. Se lo dice anche il barista qui sotto, è perché il buon senso, alla lunga, non conosce ceto.

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