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Stefano Feltri demolito da Filippo Facci: "Pagato dal suo principale oppositore", la vergogna sul caso Eni-Descalzi

Filippo Facci
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Ha tanto l'aria di articolo per addetti ai lavori, questo: tanto per scoraggiarvi. In secondo luogo, c'è un demenziale giro di parole che rende tutto un po' ridicolo e fa passare la voglia: dovremmo scrivere, ossia, che i quotidiani che hanno combattuto la battaglia più forsennata contro l'Eni di Claudio Descalzi (recentemente assolto) sono Il Fatto e Domani, ma questo essenzialmente attraverso un giornalista unico che si chiama Feltri (Stefano, che no, non è parente, perdio se non lo è) e che è passato dalla vicedirezione del Fatto alla direzione di Domani (che è un quotidiano voluto da Carlo De Benedetti, per i tanti che non lo sapessero) e quindi, insomma: dovremmo commentare che Il Fatto abbia masochisticamente titolato «il fatto non sussiste» nel giorno dell'assoluzione di De Scalzi (17 marzo) e che su Domani, l'altro ieri, cioè dopo l'uscita delle motivazioni della sentenza, non è uscito proprio nulla, tanto che gli addetti ai lavori, di fronte a questo nulla pubblicato da Domani, si chiedevano l'altro ieri: «Forse domani?». In effetti qualcosa è uscito ieri. Nel caso, rileggete. Il Fatto, il giorno successivo all'assoluzione, perlomeno aveva la notizia in prima pagina: anche se Marco Travaglio ha preferito occuparsi dei colleghi che a suo dire parlavano troppe bene di Mario Draghi, anche se il titolone d'apertura era «Infiltrati di Salvini nel Cts dei migliori». Invece, quel giorno, il quotidiano Domani di Feltri (Stefano) in prima titolava «Le trombosi rare tra i vaccinati, ecco cosa sappiamo davvero»: e l'altro ieri, su Domani, non una riga sulle motivazioni della sentenza legata al processo che li aveva tanto infiammati: però ecco, a pagina 7 c'era un'apertura a tutta pagina sui maiali da allevamento.

 

 

DIRITTO SPECIALE
Su Domani, in pratica, sono passati direttamente all'indomani (ieri) e hanno saltato il giorno delle motivazioni della sentenza, passando direttamente alle sue conseguenze. Non una parola circa la pretesa dell'accusa di «abbassare le pretese nella valutazione della prova indiziaria» (che già «prova indiziaria» suona da ossimoro) e la pretesa di proporre «una sorta di diritto penale speciale» per sopperire alla mancanza di sostanza, spingendosi a derogare dall'onore della prova a carico dell'accusa: come se gli imputati dovessero dimostrare la loro innocenza e non i pm la loro colpevolezza. Poi nell'articolo ci sono tutte le altre cosette per cui i pm dell'accusa risultano indagati per rifiuto e omissione di atti d'ufficio: si passa direttamente a parlare di questa indagine (come se non c'entrasse con la precedente) e l'inizio è questo: «L'accusa sarebbe». No, non sarebbe: è. Poi si parla di «questo presunto complotto», laddove secondo il cronista «c'è da dire che lo stesso collegio ha respinto la richiesta della procura di sentire come testimone proprio Amara, che avrebbe potuto raccontare molte cose, incluso il contenuto del video».

Il cronista, dunque, spiega ai giudice come fare il giudice e che un teste, magari, avrebbe potuto raccontare quello che gli stessi pm non hanno voluto approfondire, anzi, secondo le accuse hanno nascosto. Finalone dell'articolo: «Pacco, contro pacco e doppio paccotto avrebbe detto Edoardo De Crescenzo. Ma così a finire incartata sarà tutta la magistratura». Eh, signora mia. Tutta, proprio tutta la magistratura. Per via di De Pasquale. E pensare che doveva essere «la più grande mazzetta nella storia d'Italia», e che i soliti marcotravaglio (è un genere, ormai) auspicavano pene esemplari. Nell'aprile del 2020 il direttore del Fatto giunse ad elencare i «dieci motivi» (o erano cinque?) per cui Claudio Descalzi meritava il licenziamento, e ovviamente c'era, al primo posto, il suo ruolo da tangentaro che ora «non sussiste». Travaglio poi si dava il cambio col suo secondino Gianni Barbacetto (un'esistenza passata a invocare la galera altrui) ma adesso è anche ora di parlare di Feltri (Stefano) che da vicedirettore del Fatto, e poi su Domani, ha scritto le peggio cose su un potere Eni che avrebbe voluto, dapprima, che passasse nelle mani dei Giuseppe Conte e dei Cinque Stelle, dopo che già un membro del consiglio di amministrazione de Il Fatto Quotidiano, Lucia Calvosa, era diventata presidente dell'Eni: chissà in quale quota politica. Complicato? Ma no.

 

 

GIRAVOLTA GRILLINA
Il problema è che a un certo punto anche i grillini si sono sfilati dalla battaglia contro Claudio Descalzi: e così Travaglio e Feltri (Stefano) sono rimasti un po' soli con le loro cronache faziose. Feltri (Stefano) proprio solo non era: questo ragazzino modenese e bocconiano, riuscito a transitare dal Foglio al Riformista al Fatto (l'errore sta nei primi due) dall'estate 2019 ha continuato a scrivere per Marco Travaglio ma ha anche accettato di trasferirsi alla Chicago University (Stigler Center) per dirigere il blog ProMarket, questo su proposta di Luigi Zingales, ex consigliere di amministrazione di Eni (tu guarda) e grande accusatore di Descalzi (tu guarda) il quale Zingales, i vari accusatori, avrebbero voluto far sedere giusto al posto di Descalzi. Tu guarda. Detto in altri termini: ad attaccare De Scalzi era un giornalista a libro paga del principale oppositore di De Scalzi. Quando si dice il giornalismo indipendente. E allora, marciando verso l'obbiettivo, tutto si può fare: persino dar credito al grande accusatore dell'Eni Pietro Amara, sì, quello del verbale sulla loggia massonica «Ungheria» (verbali che al Fatto si sono rigirati tra le mani per mesi) e fottendosene altamente che questo avvocato Amara fosse condannato in giudicato per corruzione. A Feltri (Stefano) importavano altre cose: per esempio, oltreché all'ultraliberista Luigi Zingales, di piacere in particolare a Carlo De Benedetti che aveva già cercato di piazzarlo a Repubblica, e infine l'ha piazzato a dirigere Domani per rubare qualche lettore ancora Repubblica: proprio come ha fatto il Fatto, che ancora sussiste. Anche Domani sussiste ancora. Sino a quando? Forse domani.

 

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