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Assunta Almirante la first lady che sdoganò le mogli in politica

 Assunta Almirante

Ritratto di una centenaria anomala

Francesco Specchia
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«Non ho mai sopportato il reducismo. Il saluto romano mi piace solo per motivi igienici: odio le mani sudate».  Dopo la sua classica battuta con cui sorvola elegantemente sopra ogni incrostazione fascista, di solito, Raffaela Stramandinoli conosciuta come Donna Assunta Almirante, ama raccontare il suo incontro col marito Giorgio. Un racconto che ogni volta (e le volte sono tante) si arricchisce di particolari. E’ una liturgia antica che affascina tutti i cronisti politici.

C’è lei, Assunta da Catanzaro, un sorriso incastonato sopra un filo di perle, ricca e piacente dama altoborghese già ben sposata con il conte Federico de’ Medici; lei, la femmina con l’allegria contagiosa di chi aveva passato gli orrori della guerra e il luccichio del boom economico, e s’era ficcata in un cinema della sua città alla ricerca di stimoli nuovi. E c’è lui, Giorgio (Almirante), “smunto, serissimo, avvolto in un impermeabile dopo aver viaggiato in treno in terza classe”, quasi deriso dalle damazze in platea; lui, un politico nuovo e antico al tempo stesso, il fascista perbene che, proprio in quel cinema di Catanzaro, costruiva le architravi del futuro Movimento sociale. Ci sono lei e lui, e c’è il colpo di fulmine costruito sugli ammicchi e sulle battute, come nei telefoni bianchi dei film di De Sica e Camerini. Lei gli sostituisce i sandali e la camicia da Robespierre con le scarpe di vernice e il doppiopetto; e lui le scrive “Il mio sole sei tu, sei amica, sorella un poco anche mamma”. Che un po’, oggi come dire “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana” dal famoso refrain di Giorgia Meloni, tanto per suggerire che, in fondo in fondo, c’è un po’ di Donna Assunta in ogni donna di destra. Dio, patria, famiglia è sempre il motto; poi, certo, sta alla capacità del singolo renderli lo stigma della rivoluzione conservatrice. Donna Assunta Almirante, spin doctor involontaria di una destra ormai inesistente in natura, quella capacità ce l’ha sempre avuta. Oggi che l’ “imperatrice madre” -come la chiamavano i colonnelli di An- compie cento anni in ottima forma, deambulante, sempre vezzosamente vestita di impeti floreali e fresca di vaccino Moderna, be’, forse è il caso di chiedersi che cosa sia rimasto delle reliquie del vecchio mondo almirantiano. Forse, un polveroso senso dell’onore.

Forse anche un’ipocrisia tutta cattolica che affiorò quando dopo essersi sposati con “rito di coscienza” (perché il divorzio non era ancora stato introdotto e anche lui era legato da un precedente matrimonio civile, con Gabriella Magnatti), Giorgio spinto dalla realpolitik schierò l’MSI con la Chiesa contro il divorzio stesso; mentre Assunta, allergica alla disciplina di partito, votò a favore assieme ai Radicali e ai comunisti. Forse, di quel mondo sono rimasti i ricordi. Roba come le indicazioni e i consulti al consorte prima di ogni congresso, mentre lei allacciava a lui i polsini e aggiustava il nodo della cravatta; o come la querela sparata da Donna Assunta al sindaco di Grosseto perché il primo cittadino aveva accusato il suo Giorgio di strage. “Che Almirante sia stato un fascista non c'è ombra di dubbio. Che lo sia stato, senza rinnegare un attimo della sua vita, fino alla morte, è altrettanto certo. Che, successivamente, abbia preso le distanze dalle posizioni razziste de La difesa della razza (che, tra l'altro, gli furono ricordate non senza una punta polemica da Julius Evola, ndr) anche. Ma che sia stato un criminale assassino, un fucilatore di partigiani, responsabile dell'eccidio degli 83 minatori di Niccioleta in provincia di Grosseto ad opera di SS tedesche e italiane, è falso e assolutamente da denuncia”, disse Donna Assunta. E denunciò.

Qualcuno suggerisce che il giudizio dell’Assunta per Almirante avesse lo stesso peso di quello della signora Franca per Ciampi, o della first lady Eleonor per il presidente Roosevelt. Non siamo troppo lontani dalla verità. Fu lei che gestì l’ascesa di Gianfranco Fini: “Giorgio si fidava molto di me. Prendevamo molte decisioni insieme. Al partito lo sapevano, perciò, siccome mio marito aveva un carattere chiuso, venivano da me: 'Donna Assunta, io vorrei far parte della segreteria, del comitato centrale...'. A casa, con Giorgio, prendevo l'argomento alla larga. Gli dicevo: "Hai visto quello com'è sveglio, ti potrebbe servire in segreteria... Feci un intervento di questo tipo anche per Pinuccio Tatarella"”; anche se, col senno di poi e la svolta di Fiuggi, la signora si corresse “Fini vorrei non averlo mai conosciuto”. Fu sempre l’Assunta che accompagnò Giorgio ai funerali di Berlinguer, confuso in ultima fila tra i compagni (mentre Pajetta andò a quello di Almiramte). Fu lei a accusare di flaccidume e irrisolutezza gli epigoni del marito piegatisi a Berlusconi, che essendo l’unico decisionista era pure l’unico politicamente degno di nota. Fu lei ad affermare che “Renzi è il solo in grado di gestire le situazioni, tra cui quella dei migranti e i rapporti con l'Europa, anche se anche lui non ha la forza sufficiente per imporsi” e che non accettò mai di candidarsi salvo quella volta nel 2011 quando Francesco Storace la propose come la Nilde Iotti della destra e lei un pensierino ce lo fece.  

La verità vera è che Donna Assunta non è mai stata fascista e neppure missina. Donna Assunta è stata semplicemente l’archetipo della first lady americana dedita alla strategia del sussurro, in un’Italia che, fino al suo avvento, considerava le mogli a malapena tappezzeria istituzionale. Quando in via della Scrofa, sede di An, all’improvviso si ritrovò senza scrivania sorrise soltanto e si piegò aristocraticamente alla nuova era, senza fare un plissè. Il Covid fu la scusa buona per perpetuare l’usanza di non stringere mani infide e sudate…

 

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