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Giuseppe De Donno, "ricoverato in una clinica": il demone della depressione dietro al suicidio?

Lorenzo Mottola
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Sembra che la storia del professor Giuseppe De Donno sia un po' diversa da quella finora scritta sui social dalle fazioni che da tempo si dividono sul suo caso. Da una parte, troviamo virologie giornalisti che hanno sostanzialmente cercato di ridicolizzare lo pneumologo di Mantova. Dall'altra trasmissioni televisive e politici che hanno invece visto in lui una speranza. Fino ad arrivare alle teorie più "estreme", elaborate da chi crede che il primario di Curtatone abbia trovato una cura semplice ed economica al virus ma che sia stato contrastato dalle grande industrie del farmaco. Ieri i No-vax scesi in piazza a Milano scandivano il suo nome: "È un eroe, è stato ammazzato da chi voleva metterlo a tacere". Un suicidio indotto, in pratica.

 

 

IL RICOVERO
In realtà De Donno era malato da tempo. Lo era ben prima di diventare uno dei protagonisti della polemiche sulla pandemia. Durante l'emergenza Covid si era tuffato nel lavoro e le cose paradossalmente parevano essere migliorate. Negli ultimi mesi, dopo essersi dovuto assentare per alcune settimane, aveva deciso di lasciare l'ospedale. Poco dopo si era ricoverato volontariamente in una clinica, per cercare di superare una fase nera. Con risultati che, evidentemente, non sono stati quelli attesi. La depressione a volte non dà scampo. Dal 5 luglio ha poi iniziato a lavorare come medico di base a Porto Mantovano, con grande successo. «C'era la coda per farsi visitare da lui», dice un amico. D'altra parte, chi l'ha visto all'opera, sostiene che fosse un clinico abilissimo. Ieri la procura di Mantova ha aperto un'inchiesta sul suicidio. De Donno, 54 anni, si è tolto la vita impiccandosi nella propria abitazione, senza lasciare messaggi, né per la moglie né per i due figli. Gli inquirenti vogliono capire se c'è qualcosa o qualcuno che possa aver spinto il dottore a farla finita e stanno interrogando parenti e conoscenti. Il computer e i telefoni sono stati posti sotto sequestro. Al centro dell'inchiesta c'è il lavoro del medico e le polemiche che ne sono derivate. E anche la sua attività su Facebook, dove spesso dialogava con se stesso sulle sue teorie (anche utilizzando profili falsi, fatto sul quale era stato preso di mira da Selvaggia Lucarelli).

 

 

LA SPERIMENTAZIONE
De Donno è stato definito il "papà della terapia del plasma iperimmune". Ma anche su questo bisognerebbe rivedere un po' la storia. La decisione di iniziare una sperimentazione di questo genere non è stata dell'ospedale del medico recentemente scomparso, il Poma di Mantova, ma del San Matteo di Pavia. Un tentativo come altri di cercare una cura per il Covid: di fronte all'emergenza gli scienziati hanno giustamente provato qualsiasi cosa. Per chi non lo conoscesse, questo tipo di rimedio prevede di trattare i malati con trasfusioni da parte dei pazienti guariti. Un metodo già utilizzato contro l'ebola e tentato anche in mezzo mondo contro il Covid. Il San Matteo ha provato a seguire questa strada e ha coinvolto nei test anche il Poma. E De Donno ha collaborato con passione, anticipando addirittura l'esito delle ricerche, che inizialmente avevano dato ottimi risultati. Da allora è diventato una celebrità, ha cominciato a rilasciare interviste a raffica per illustrare il suo sistema. Oggi, come sappiamo, la cura con il plasma è stata sostanzialmente accantonata, anche se tanti ancora credono in questo metodo. La polemica continua. E forse De Donno non aveva la forza per affrontarla.

 

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