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Arnaldo Mussolini, chi era davvero (e perché Benito faceva correggere a lui i suoi discorsi): ciò che la sinistra ignora

Andrea Cionci
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Ma Arnaldo era il fratello buono o il fratello cattivo di Mussolini? La polemica sull'intervento del leghista Durigon conferma che il dibattito storico -politico, in Italia, si fonda sulle "emoticon". Queste semplificazioni sono sempre molto pericolose perché se poi si apre il dibattito sulla "bontà" o la "cattiveria" di altri personaggi cui sono intitolate vie in tutta Italia la situazione si complica. Ci sono diverse strade intitolate a Lenin, cui si devono alcuni milioni di morti e la fucilazione di 130.000 preti ortodossi. Ancora, il nostro Togliatti, di cui così scrive il sito gramsciano "Resistenze internazionali": «Per noi marxisti rivoluzionari Togliatti non fu affatto un eroe, ma un assassino e un criminale stalinista che aveva le mani sporche del sangue di centinaia di compagni».

 

 

 

Lo storico

Conferma lo storico Marco Patricelli: «Sapeva tutto delle purghe staliniane e della sorte dei nostri prigionieri di guerra, e ha taciuto». Eppure un'enorme arteria della Capitale, l'omonimo Viale, è dedicata proprio al "Migliore". Per non parlare delle undici vie dedicate in tutto lo Stivale al maresciallo Tito, cui dobbiamo l'orrore delle foibe, e di quelle che portano il nome di Mao Tse Tung, Ho Chi Min e Che Guevara, responsabile di ben 144 omicidi provati da Archivio Cuba. E costoro non avevano nemmeno contribuito a fondare le città che li omaggiano. Ma cerchiamo di fare il punto con obiettività. Innanzitutto, Durigon, nella sua uscita-kamikaze non ha chiesto "l'intitolazione del parco al fratello di Mussolini", come hanno riferito alcuni titoli, ma il ripristino del suo nome originario: la città fu infatti edificata nel 1932 dal Regime sulle Paludi pontine bonificate. L'anno prima era morto di infarto il fratello minore del Duce e così gli venne dedicato un parco vista la sua passione naturalistica. Arnaldo nasceva, infatti, insegnante di agraria, affiancò il fratello come direttore amministrativo del Popolo d'Italia e dopo il '22 ne divenne direttore. Fedelissimo alle idee di Benito, ne mitigava però gli eccessi tanto che il Duce gli affidava la revisione dei suoi discorsi. Fu anche vicedirettore dell'Eiar e, in questo senso, ebbe certamente un ruolo di rilievo nella propaganda di regime. Negli anni '20 fondò e diresse numerose riviste di storia, agraria e di interesse naturalistico. La sua predilezione per la natura lo condusse a occuparsi di bonifiche e rimboschimenti tanto che divenne il primo presidente del Comitato Nazionale Forestale. Fu patron della Scuola di mistica fascista di Milano, inaugurata dal cardinale Schuster. Arnaldo era, infatti, cattolicissimo, e fu essenziale il suo ruolo di mediatore fra la Chiesa e il Regime, soprattutto durante la crisi del '31, quando fece raggiungere un compromesso tale da consentire ai ragazzi di partecipare all'Azione Cattolica, purché senza attività politica. Arnaldo si prese anche cura anche del nipotino illegittimo Benito Albino, figlio dell'amante del fratello Ida Dalser, che fu poi relegata in manicomio.

 

 

 

Consigliere

In sintesi, ebbe certamente un ruolo non da poco come "cardine della rivoluzione fascista", come lui stesso si definì, ma non ebbe alcuna responsabilità nell'entrata in guerra né per le campagne di Etiopia, Spagna o per la Seconda Guerra mondiale, visto che morì nel 1931. Anzi, se Mussolini avesse potuto beneficiare del suo consiglio, del quale si fidava ciecamente, probabilmente non avrebbe commesso quegli errori di cui ancor oggi scontiamo le conseguenze. Il problema enorme posto dalla querelle Durigon è che dal punto di vista sia umano, sia delle responsabilità storiche, esiste un'enorme sproporzione tra Arnaldo Mussolini e i mostri umani rossi cui sono intitolati strade e parchi in tutta Italia. E non sono retaggi del 1948: appena una settimana fa, uno dei quotidiani che oggi chiede la testa del leghista ha riportato, con note placidamente neutre, il tentativo di ripristino del nome Stalingrado, al posto della attuale Volgograd, in Russia. E Stalin ha sulla coscienza una cifra fra i 20 e i 40 milioni di morti. 

 

 

 

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