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Afghanistan, Fini sul Fatto quotidiano: "Mandiamo Mulè dai talebani, magari ce ne liberiamo"

Gianluca Veneziani
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Non bisognerebbe prenderlo troppo sul serio, dal momento che scrive su un quotidiano che alcuni giorni fa titolava «I talebani fanno i democristiani». Eppure crea molto fastidio vedere l'aspirante Mullah Massimo Fini, firma de Il Fatto Quotidiano - da noi già definito la Fatwa Quotidiana - augurare la morte a Giorgio Mulé, sottosegretario alla Difesa e stimato esponente di Forza Italia. E lo crea perché, mentre si consumano eccidi in Afghanistan, l'esercizio di autodifesa più naturale per noi occidentali è pensare: siamo fortunati a vivere in un Paese in cui si possono esprimere liberamente posizioni politiche, senza che nessuno ti minacci di morte. Quando poi però scopri che alcuni "talebani" sono già tra noi, ti fa molto male.

 

 

 

 



LA COLPA - La somma colpa di Mulé, agli occhi di Fini, è di aver criticato il ritiro americano dall'Afghanistan, da lui definito «un errore tragico» che ha lasciato campo libero ai talebani; e di non credere alle promesse di una loro svolta moderata, in quanto essi «hanno negato ogni prova di dialogo, sono i figli del regime del Mullah Omar». Questo approccio, che rifiuta il mito dei "talebuoni", cui Fini invece crede ciecamente, è valso a Mulè un auspicio di morte. «Ci vadano i nerboruti leghisti e i forzuti berlusconiani, a cominciare da Giorgio Mulé, a combattere i Talebani. Per lo meno ce ne saremmo liberati per sempre», scriveva ieri con un'espressione da brividi l'editorialista de Il Fatto Quotidiano. La replica di Mulé era un condensato di arguzia: non scadeva sullo stesso piano becero di Fini e mostrava il cortocircuito per cui, nel momento stesso in cui proclamava l'animo nobile dei talebani, la firma del Fatto ne adottava, verbalmente, gli stessi metodi violenti. «C'è un modo inaccettabile e vigliacchetto per attaccare una persona», scriveva il sottosegretario alla Difesa su Facebook, «ed è quello della minaccia trasversale o dell'incitamento subdolo all'odio e alla violenza. I talebani, anche se non hanno la barba lunga e non parlano con la erre moscia, sono già tra di noi». Messo alle strette Fini, si difendeva dicendo che «su Mulè ho fatto solo una battuta, non si discute sul resto del discorso». Ammazza che battutone, un simpatico umorista questo Fini. Fa veramente morire dal ridere, è il caso di dire. Ma vediamolo il resto del discorso. Tutto l'articolo, pensato come una risposta a Gianni Riotta e alla sua tesi per cui «i talebani sono una creatura del Pakistan», era volto a dimostrare non solo che il Pakistan non è amico dei talebani anzi è loro acerrimo nemico (con buona pace di gran parte degli analisti internazionali), ma che i talebani sono degli eroi, difensori dei più deboli e liberatori della propria terra. «La verità», scriveva Mullah Fini, «è che quello talebano-afghano fu un movimento spontaneo che reagì agli abusi, ai soprusi, agli stupri, alle prepotenze dei "signori della guerra". Dirà il giovane Omar: "Come potevamo restare fermi mentre si violentavano le ragazze e si faceva violenza sulla povera gente"».

 

 

 



DIFENSORI DELLE DONNE - Quindi i talebani, secondo Fini, sarebbero dei baluardi contro le violenze sulle donne. Siamo al capolavoro dell'assurdo... Di sicuro, a suo giudizio, sono patrioti cui non si può togliere «la dignità di una guerra di indipendenza», nonché validi amministratori («Con Omar si pagava un solo pedaggio, com' è per le nostre autostrade») e credibili rappresentanti della giustizia («gli afghani preferivano affidarsi alla magistratura talebana»). Tesi coerenti con quanto già scritto da Fini nei giorni scorsi, quando aveva sostenuto che i talebani erano del tutto estranei all'11 settembre (peccato che ospitassero Bin Laden) e che lo Sceicco del Terrore non era mica lì per progettare attentati, ma per fare opere di bene: «Bin Laden godeva di una certa popolarità perché con le sue risorse personali aveva costruito ospedali, strade, infrastrutture, cioè quello che avremmo dovuto fare noi in vent' anni di occupazione». È chiaro che un opinionista simile non va preso troppo sul serio. Però, va dettto: che brutta fine ha fatto Fini.

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