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Gennaro Sangiuliano su Vladimir Putin: "Perché non si fermerà all'Ucraina", i prossimi obiettivi dello zar

Gennaro Sangiuliano

Gianluca Veneziani
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Per ben comprendere le strategie geopolitiche di Putin sarebbe opportuno leggere il libro del direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, Putin. Vita di uno zar (Mondadori), pubblicato per la prima volta nel 2015 e quanto mai profetico e perciò attualissimo.

Sangiuliano, se vogliamo capire Putin dobbiamo tornare a 10 anni prima della sua nascita, quando il padre restò ferito e la madre rischiò di morire per denutrizione durante l’assedio di Leningrado (dal 1941 al 1944)?
«Sì, lui è un figlio dell’Urss e dell’assedio di Leningrado, dove i russi persero 700mila vite umane e Putin subì danni diretti a livello familiare. Tra l’altro in quell’occasione morì il fratello di soli 7 anni, Viktor, che lui non conobbe mai. Tutta la sua psicologia è generata dalla sindrome dell’assedio, ossia dall’idea che la Russia venga assediata e abbia necessità di difendersi dalle minacce esterne. A questo trauma si somma quello della dissoluzione dell’Unione Sovietica: a quell’epoca Putin era il capostazione del Kgb a Dresda. Dopo il crollo dell’Urss lui tornò a vivere a Leningrado. Il suo unico bene era un’automobile Volga, a un certo punto ipotizzò addirittura di mettersi a fare il tassista, non sapendo più come poter sostentare se stesso e la sua famiglia. Tutta questa sua psicologia contorta non giustifica quello che sta facendo ora ma ci aiuta a capirlo».

 

 

Quanto la sua esperienza nel Kgb gli ha permesso di maturare abilità strategiche e diplomatiche che ha messo a frutto in questi giorni?
«Quando crollò l’Urss, il Kgb fu l’unico apparato che restò in piedi e funzionante, essendo un’élite della società russa, uno Stato nello Stato. Il Putin di oggi è ancora il tenente colonnello del Kgb. Lo si era visto già anni fa, con l’intervento in Cecenia, prova generale dell’Ucraina. Putin fu di un’estrema durezza ai limiti della forza bruta»,

Nel suo mito di una Grande Russia, Putin si rifà più all’Impero zarista o all’Unione Sovietica?
«Quando cadde l’Urss, e tutti quanti toglievano i quadri di Marx, Lenin e Stalin dalla stanze, Putin li sostituì con il quadro di Pietro Il Grande, una chiara evocazione della Russia zarista. Il presidente russo ha anche detto però che non si può non rimpiangere l’Unione Sovietica. È singolare a proposito ciò che accade nella parata di maggio per celebrare la vittoria sul nazifascismo: vedi sfilare le unità della Marina cui è stato ridato il simbolo di falce e martello, e altre unità che portano invece il nastrino giallo e nero, i colori dello zar. I riferimenti di Putin sono un miscuglio tra zarismo e comunismo, forze antitetiche sul piano della storia: lui ha cercato di sintetizzare nello spirito russo questi due tratti».

 

Il Putin di oggi è più uno strenuo nazionalista o un imperialista?
«È un imperialista che utilizza contro l’Ucraina l’armamentario antinazista, visto che una parte degli ucraini durante la Seconda Guerra Mondiale si schierò con Hitler. La sua filosofia geopolitica di riferimento è il panslavismo: lui desidera un’area di influenza geopolitica che coincida con la vecchia Urss, e quindi comprenda le repubbliche baltiche, la Moldova e le repubbliche dell’Asia centrale e del Caucaso».

Quanto conta in questa missione putiniana il tema dell’identità nazionale?
«Indubbiamente Putin ha ridato orgoglio al suo popolo. Ma, secondo un sondaggio di ieri, “solo” il 53 per cento dei russi condivide la sua iniziativa militare. È sì una maggioranza, ma non schiacciante. La verità è che la società russa si è evoluta, i russi hanno cominciato a viaggiare e ad apprezzare i valori di libertà e democrazia. E in questo momento storico Putin è un personaggio isolato, che vive all’interno della sua cerchia, chiuso nel suo castello, circondato da persone che gli danno una falsa rappresentazione della realtà. Questo isolamento alla lunga può portare alla paranoia».

 

Questa guerra di Putin si spiega più con l’economia, la geopolitica o l’ideologia? 
«Il fattore prevalente è quello geopolitico. Ma le sue mosse si spiegano anche con una sorta di logoramento del potere. Sono passati più di vent’anni da quando Putin è diventato per la prima volta premier e poi presidente. Il suo potere si è via via logorato, e ora lui prova a ridargli smalto lanciando una guerra patriottica».

L’azione di Putin può essere paragonata alla “guerra di Stalin” all’Ucraina di 90 anni fa che causò la Grande Carestia?
«In questa vicenda ci sono tutte le stigmate della storia. Da una parte gli ucraini ricordano lo sterminio che Stalin fece ai loro danni con la Grande Carestia. A loro volta i russi ricordano come gli ucraini diedero uomini e forze alle Waffen SS».

C’è chi sui giornali italiani ha scritto di “fascismo rosso” a proposito di Putin e c’è chi paragona la sua invasione dell’Ucraina a quella di Hitler della Polonia. Sono paragoni destituiti di senso?
«Sì, non dimentichiamo che Putin era un membro del Partito comunista dell’Urss».

 

 

Hanno sbagliato i sovranisti europei a elevarlo a loro punto di riferimento?
«Non parlerei di errore. Sbaglia chi esalta Putin, dimenticandosi che noi dobbiamo essere atlantisti. Ma sbagliano anche i liberal che non vogliono comprendere la profondità di certi processi storici. Anche Solzenicyn sosteneva che la Russia non sarebbe mai potuta diventare come gli Usa. E lo stesso Sergej Brin, russo cofondatore di Google, nota come la Russia vada rispettata nella sua peculiarità storica».

Quanto al sogno putiniano di una grande Russia contribuisce la  debolezza di Europa e Usa, private di figure di spessore Trump e Merkel?
«Innanzitutto dobbiamo ricordare che Putin preparava questa mossa da mesi. Non organizzi un’invasione su così larga scala in poche settimane. L’Occidente da 3-4 anni è distratto rispetto alle vicende ucraine, mostrando la sua fragilità. Biden poi non è all’altezza di Obama, Clinton o George W. Bush, non è un leader di statura. Mancano infine figure come Berlusconi, che fece un grande lavoro a Pratica di Mare, consentendo di evitare scene come quelle a cui stiamo assistendo oggi».

Nel suo saggio lei cita il libro Lo scudo e la spada, avidamente letto da Putin, e i libri di spionaggio di John le Carrè, come utili strumenti per comprendere la psicologia del presidente russo. Putin è un personaggio letterario?
«Lui dà l’impressione di confondere letteratura e realtà. Una certa megalomania del personaggio va letta indubbiamente in questa direzione».

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