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Andrea Crisanti, Green pass e Omicron: "Perché è più sicuro aprire ora che la scorsa estate"

 Andrea Crisanti

Pietro Senaldi
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«Il contagio è calato grazie al vaccino e non alle restrizioni, che sono le stesse di 4 settimane fa, quando viaggiavamo al ritmo di 250mila nuovi positivi al giorno e i divieti non avevano impatto sulla pandemia. Come il Green Pass, che è servito a far immunizzare le persone ma non a impedire la trasmissione del virus. Per questo dico che tenere il certificato verde oggi è una decisione squisitamente politica e non sanitaria, giustificata dalla determinazione del governo di tenere fino in fondo la linea, dallo choc iniziale delle bare di Bergamo e dal non voler dare la sensazione che tutto sia finito, ma non dalla curva della pandemia».

Ma come, non ha paura che se si riaprono i recinti per tutti poi ci sia un'immediata risalita del virus?
«No, perché ormai tutti quelli che era possibile far vaccinare lo hanno fatto e il restante 5-10% non è convincibile».
E quindi...?
«Non penso che un Paese democratico possa marginalizzare a lungo il 10% della popolazione. La curva è in discesa perché tanti si sono vaccinati di recente e perciò questo è il miglior momento per riaprire tutto e non capisco la prudenza del governo, a meno che non vogliamo davvero che si organizzino ristoranti, scuole e palestre no vax».

Forse si aspetta la bella stagione, con il caldo il virus circola meno?
«Il fattore stagionale è importante ma quello vaccinale lo è molto di più. Tra cinque mesi l'effetto del vaccino sarà scemato e potremmo avere più contagiati. Il punto è che non c'è capacità di interpretare questo momento: si tratta una fase endemica come fosse pandemica».

Quindi non è finita?
«Non si può dire. Quello che si può affermare con certezza è che, con i vaccini e la diffusione del virus controllata abbiamo di fatto raggiunto un'immunità di gregge. Però non si sa quanto durerà. Certo, la cosa ottimale sarebbe trovare un vaccino che offra una copertura definitiva, come per le altre malattie infettive».

Insomma, siamo tutti condannati alla quarta dose?
«Tutti no. Le persone anziane e quelle fragili fisicamente, nel senso con malattie gravi, però potrebbero doverla fare. Parliamo di oltre tre milioni e mezzo di ultraottantenni più altri quattro milioni di malati oncologici, diabetici, cardiopatici...».

E i non vaccinati ultracinquantenni, che oggi non possono neppure lavorare?
«Le restrizioni non hanno senso ora che il virus sta diventando endemico».

Dal tracciamento totale e dalla linea dura, spesso tacciata di allarmismo, Andrea Crisanti è passato a quella del liberi tutti e del no Green Pass.
«Meglio riaprire ora che tra sei mesi, perché così si favorisce il processo che porta il virus a diventare endemico. Può sembrare un paradosso, ma se tu chiudi fino ad arrivare a contagi zero, poi come riapri l'epidemia riesplode, perché il Covid non è circolato e la popolazione non si è immunizzata abbastanza. È un po' quello che è successo nell'estate di due anni fa».

Insomma, la ricetta giusta è quella di Mitridate, sconfiggere il veleno bevendo un sorso al giorno.
«Conviene positivizzarci tutti un po' alla volta e mantenere senza traumi l'immunità di gregge» suggerisce il microbiologo romano, che non per caso vive a Londra e ha scelto il Veneto come patria elettiva. A questo proposito, non si può dribblare l'argomento villa: un milione e seicentomila euro per una splendida magione palladiana nel trevigiano. Per far la pace con il governatore Zaia, magari a cena sotto il porticato? Ma Crisanti non si fa tirare per la giacca: «Mi è dispiaciuta l'incomprensione finale con il presidente, che addebito più che a lui a certi suoi collaboratori, ma l'acquisto della villa non c'entra nulla con lui, piuttosto con mia moglie, che ha insistito tanto; anche se è stata proprio la pandemia a farmi innamorare del Veneto».

Un romano nella Marca Trevigiana?
«Non è strano, al contrario, siamo abituati alle suggestioni culturali. Io poi ho da vent' anni casa a Londra, quartiere Chelsea, dove l'architetto Inigo Jones importò lo stile del Palladio, comprandone i disegni».

E se la casa padronale sta a Chelsea, c'è la prova che la pandemia e la popolarità televisiva non c'entrano nulla con il benessere del professore. Ma quand'è che si può dire che il virus è diventato endemico?
«Quando per due settimane i contagi si mantengono sulla stessa linea senza aumentare».

Tipo a 4-5mila contagi al giorno?
«Penso che non ci arriveremo e dovremmo rassegnarci a una media quotidiana di ventimila nuovi positivi».

È un dato altissimo...
«Il problema è la letalità. Anche il morbillo è endemico, ma solo in un caso su mille rischia di essere letale. Così il Covid, quando diventerà endemico non smetterà di uccidere, ma colpirà solo i fragili. Per questo nella nuova fase si potrebbe vaccinare solo loro».

Cosa mi dice dei vaccinati che muoiono?
«Se sei in condizioni di grave fragilità, non rispondi neppure al vaccino. Virus endemico non significa virus che non uccide nessuno. Penso che i decessi annui complessivi aumenteranno di quarantamila unità l'anno, circa l'8-9% della popolazione».

È la tesi del Covid come semplice acceleratore della morte di soggetti già condannati?
«No, in questo caso parliamo sempre di morti per Covid, non da Covid».

È vero che nel 33% dei Paesi la letalità del Covid sta aumentando?
«Potrebbe essere un effetto apparente, dovuto a un maggior numero di diagnosi per i fragili».

Potrebbero tornare scene come le bare di Bergamo?
«No, grazie ai vaccini, all'immunizzazione di massa, ai nuovi medicinali e al fatto che ora sappiamo curarlo meglio. Ai tempi della bare di Bergamo non era così».

Quando finirà l'incubo?
«Il morbillo ce lo siamo portati dietro per diecimila anni, il vaiolo per mille...».

Ha capito come è nato questo virus?
«Ci sono cinque milioni di virus che circolano nel mondo animale. Solo una minima parte di esse entra in contatto con l'uomo, e questo è uno dei casi».

La tesi del mercato di Wuhan dove sono in vendita anche i pipistrelli?
«È un'ipotesi, ma potrebbe anche essere che qualcuno abbia fatto un'escursione in una caverna e abbia contratto il virus».

Oppure è venuto fuori da un laboratorio cinese?
«Sì, anche se è indimostrabile. Comunque non è nato da manipolazioni, è un virus naturale, non ingegnerizzato».

La variante Omicron uccide di meno: significa che il virus, per sopravvivere, diventa via-via meno aggressivo?
«Dipende. Omicron è molto contagiosa, è probabile che sia stata meno letale solo grazie all'immunizzazione di massa. Di certo, se fosse arrivata prima dei vaccini, quando arrivò la variante di Wuhan, con la quale ha simili parametri di letalità, ci sarebbe stata un'ecatombe. E poi Alfa e Delta, pur arrivate dopo, erano entrambe più letali del virus originario».

Soluzioni in vista?
«Va trovato il farmaco anti-Covid, che al momento ancora non c'è; a quel punto, ce ne si può fregare».

E se al prossimo giro la gente si stufasse di fare il vaccino?
«Alla quarta dose è comprensibile, ma sarebbe sbagliato: a fragili e anziani conviene sempre immunizzarsi».

Molti temono il vaccino, hanno fatto controvoglia tre dosi e ora che il peggio sembra passato...
«I vaccini non sono pericolosi. Gli eventi gravi e gravissimi sono più che rari, siamo alle stesse percentuali dei vaccini anti-pollio. Il problema è nato perché questi vaccini, molto più degli altri, causano febbri, dolori e mal di testa, e questo ha spaventato e allontanato».

Si è parlato anche di trombi e miocarditi...
«Non in misura scientificamente significativa i primi, mentre le seconde hanno effetti reversibili. La cosa migliore sarebbe stata prevedere un protocollo post-iniezione per evitare febbri e malesseri vari, ma forse avrebbe allarmato ancora di più».

Quello della terapia è stato un altro dei grandissimi equivoci, per non dire barzellette tragiche, del Covid: tachipirina e vigile attesa, ma quale malattia si cura stando attenti sul divano?
«Nessuna, però bisogna considerare i tempi. Il protocollo venne introdotto per evitare il sovraccarico degli ospedali, che stavano esplodendo, per tenere le persone a casa ed evitare i ricoveri di massa, contando sul fatto che nella maggior parte dei casi chi si infettava guariva da solo».

Gli altri peggioravano sul divano fino a richiedere di essere intubati e in parecchi ci hanno rimesso le penne per i ritardi del ricovero: non era possibile cambiare prima il protocollo anziché tenerselo per un anno e mezzo sapendo che non funzionava?
«Quando c'è una direttiva sanitaria per modificarla occorrono studi scientifici su larga scala che garantiscano che la nuova cura è più efficace».

Il protocollo Remuzzi risale al 2020 e ora aspirina e cortisone sono la cura standard...
«Tenga presente che non sono così facili da usare e necessitano di disposizione e controllo medico. Prima di introdurli si è dovuto dimostrare statisticamente che erano più efficaci del protocollo Speranza».

Chiudiamo con un messaggio positivo: cosa bisogna fare adesso per uscirne al meglio?
«Prepararsi a somministrare la quarta dose ai fragili, creare dei buoni-tampone per le categorie a rischio e i famigliari, potenziare il lavoro da remoto, proteggere gli anziani senza più limitare le libertà degli altri».

Cosa è andato meglio e cosa peggio finora?
«È stato tragico sottovalutare la pandemia e dire che eravamo prontissimi nel febbraio di due anni fa. Quell'atteggiamento è stato responsabile di diverse morti che si sarebbero potute evitare. Sbagliatissimo poi illudersi a giugno che tutto era finito, senza prepararsi alla seconda ondata. Di buono, a parte il tracciamento totale di Vo' Euganeo, che è stato preso a esempio nel mondo e poco in Italia, direi le zone a colori, più come idea che come attuazione».

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