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Carlo Nordio, doccia ghiacciata su Vladimir Putin: "Non verrà mai processato. Solo il Cremlino..."

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«Non ci sarà nessuna Norimberga per Vladimir Putin. Saranno i suoi successori, semmai, a regolare i conti con lui». Chi legge i libri e gli articoli di Carlo Nordio ha imparato ad apprezzarne, assieme alla cultura giuridica, quella storica e militare. Qualità che, unite al realismo, oggi gli fanno escludere che il presidente russo, un giorno, possa essere giudicato da un tribunale internazionale, e che la pace possa arrivare da qualche iniziativa dell'Onu, «che non è mai riuscita a impedire un conflitto né a farlo finire». 

Molte cose avvenute in Ucraina sono ancora da chiarire e le inchieste sono state appena avviate. Le immagini e le testimonianze, però, sono moltissime. Lei, dottor Nordio, che idea si è fatto? Sono stati commessi crimini di guerra?
«Direi proprio di sì. Prigionieri e civili uccisi con le mani legate dietro la schiena sono sicuramente crimini di guerra. Per i bombardamenti di edifici non militari la questione è più complessa: spesso si tratta di quei famigerati "danni collaterali" comuni a tutti i bombardamenti, anche a quelli fatti con le cosiddette "bombe intelligenti". Tuttavia, quelli che vediamo in Ucraina sono così estesi da far pensare a distruzioni volute e premeditate. Cioè, appunto, a crimini».

 

 

Quando Joe Biden ha chiesto un processo per i crimini di guerra commessi dalla Russia in Ucraina, da Mosca gli hanno risposto che semmai bisogna cominciare «con i bombardamenti sulla Jugoslavia e l'occupazione dell'Iraq», per poi «passare ai bombardamenti nucleari sul Giappone». Anche in Italia c'è chi la pensa così. È un parallelismo corretto? Sono situazioni paragonabili?
«Assolutamente no. In Jugoslavia e in Iraq ci sono state, come purtroppo in tutte le guerre, delle vittime civili, ma non c'è alcun indizio che fossero intenzionali. Il loro stesso numero, relativamente limitato tenuto conto della lunghezza dei conflitti, le fa rientrare tra gli orrori della guerra, senza che per questo siano delitti in senso stretto. Quanto al Giappone, a parte che era entrato in guerra con un attacco proditorio e che sia Hiroshima che Nagasaki erano anche basi militari, erano tempi completamente diversi. I tedeschi hanno distrutto Coventry e mezza Londra, gli angloamericani mezza Germania, e i russi sono entrati a Berlino sparando con i cannoni ad alzo zero e radendo al suolo un isolato dopo l'altro. Simili situazioni, oggi, sono inaccettabili».

Ma esiste un criterio per distinguere in modo netto ciò che è crimine di guerra da ciò che non lo è? Perché molto spesso certe azioni sembrano ricadere in un'enorme zona grigia. Ad esempio quando viene bombardato un edificio abitato da famiglie, nel quale l'aggressore sostiene però che vi fossero nascoste armi.
«I criteri sono stati fissati, in via teorica, sin dagli inizi del Novecento, ma il primo esempio di processo internazionale si è avuto a Norimberga, dove peraltro sono stati introdotti anche i crimini contro la pace e contro l'umanità, concetti che spesso si confondono. Di certo le uccisioni deliberate di prigionieri, a maggior ragione se civili, sono crimini di guerra. Dopo Norimberga gli alleati hanno giudicato e giustiziato vari ufficiali tedeschi per questo, anche se i russi, in genere, sono andati per vie più sommarie. È vero che se una scuola diventa una caserma cessa di essere un edifico civile, e quindi, in certi casi, il giudizio è più difficile. Tuttavia stragi come quella di Kramatorsk, più che un'azione militare, sembrano essere forme deliberate d'intimidazione criminale».

 

 

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dice che è in atto un vero e proprio «genocidio» ai danni del suo popolo. Lei vede i presupposti per una simile accusa?
«Zelensky ha tutte le ragioni di esprimersi in termini così forti, perché si difende da un'invasione brutale che provoca migliaia di vittime anche tra i civili. Il genocidio, come eliminazione programmata di una etnia odi un gruppo, è più difficile da ipotizzare, ma questo cambia poco. Di fronte a quegli eccidi non mi fermerei sullo stretto significato delle parole».

La legislazione internazionale appare confusa. C'è la Corte penale dell'Aja, competente per crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio commessi dai singoli individui. Che in questo caso sarebbero Putin e la catena militare sotto il suo comando, giù giù sino agli esecutori materiali dei crimini. Né la Russia né gli Stati Uniti, però, hanno mai ratificato il trattato che istituisce questa corte. L'Ucraina, invece, sì. È una strada percorribile?
«No, non credo sia percorribile, per ragioni pratiche più che giuridiche. Non solo, appunto, manca la ratifica della Russia (nonché di Usa, Cina e Israele), ma soprattutto questi processi non si possono fare "in absentia", cioè in contumacia. E credo sia difficile vedere Putin estradato dalla Russia per esser portato davanti ai giudici... Del resto, nella maggior parte di casi, quando cade un dittatore i conti li regolano in casa, in modo cruento, come con Ceausescu, Saddam e Gheddafi, o in modo più soft, come con Pinochet».

C'è anche la Corte internazionale di giustizia, che però ha giurisdizione sugli Stati, non sugli individui, e dipende dalle Nazioni Unite, nel cui consiglio di sicurezza la Russia ha il potere di veto. L'Ucraina ha promosso subito un'azione nei confronti della Russia: crede che possa produrre qualche risultato?
«Io sono molto realista, e quindi pessimista sulla efficacia della giustizia penale internazionale. Così come lo sono per l'Onu, che non è mai riuscita né a impedire un conflitto né a farlo finire. Purtroppo le guerre si regolano sul campo di battaglia.
La diplomazia interviene dopo».

 

 

Molti invocano un tribunale internazionale ad hoc istituito solo da un gruppo di Stati, come quello che giudicò Hermann Göring, Joachim von Ribbentrop e altri uomini del Reich. Ma il processo di Norimberga fu possibile perché la Germania nazista era stata sconfitta militarmente dagli alleati, e la sua leadership rimossa con la forza. È credibile una "Norimberga" per Putin e i suoi generali, in assenza di una simile sconfitta russa?
«Su Norimberga sono stati scritti molti libri, e a suo tempo mi sono anche letto gli atti più importanti, a cominciare dalle requisitorie di Robert Jackson e degli altri prosecutors, per concludere con le arringhe di Stahmer e degli altri difensori. Già allora si discuteva sulla legittimità di un tribunale costituito ad hoc, e sulla irretroattività delle nuove disposizioni penali. Più interessante ancora è leggere gli atti dei processi successivi, quello sulla strage di Malmedy e quelli contro i medici e i comandanti dei lager. Furono tutte condanne moralmente giuste, e ci furono anche parecchie assoluzioni. Ma resta sempre il fatto che si processavano i vinti». 

I crimini dei vincitori restano impuniti. 
«La giustizia è sempre quella dei vincitori. Tutti sapevano che la strage di migliaia di ufficiali polacchi a Katyn era stata fatta dai sovietici, ma nessuno disse nulla. Churchill stesso aveva così poca considerazione di quel modo di procedere che commentò l'esecuzione di Mussolini dicendo che così, almeno, il capo del fascismo si era risparmiato una Norimberga italiana». 

Tirando le somme, crede che vedremo mai Putin davanti a una corte internazionale? 
«Sono sicuro di no. Anche se Putin dovesse cadere, la sua sorte sarebbe decisa dai suoi successori. Al Cremlino, non altrove».

 

 

 

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