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Vladimir Putin e il "controllo della volontà": judo, la mossa con cui il tiranno annienta i nemici

Corrado Ocone
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Anche se i segnali c'erano tutti, e letti con il senno del poi erano pure chiari, la guerra della Russia all'Ucraina ci ha colto di sorpresa. Da quel 24 febbraio in cui esercito e tank hanno oltrepassato le frontiere e l'aviazione di Mosca ha iniziato a bombardare, un po' tutti ci chiediamo cosa ci sia nella mente di Vladimir Putin, quale sia il motivo che lo ha spinto a una azione così estrema per appoggiare le sue (fra l'altro molto discutibili) rivendicazioni territoriali. Questa domanda, in verità, se l'era già posta, dopo l'annessione della Crimea nel 2014, Michel Eltchaninoff, che oltre a essere esperto di filosofia russa, dirige la bella rivista francese Philosophie Magazine. Ne era venuto fuori nel 2016 un libro che oggi assume un valore ancora più pregnante. Bene perciò hanno fatto l' autore a riproporlo (con l'aggiunta di un capitolo) e la casa editrice e/oa farne uscire sollecitamente l'edizione italiana: Nella testa di Vladimir Putin (traduzione di Alberto Bracci Testasecca, pagine 176, euro 15). Dalla lettura si apprende che Putin, pur non dedicandosi particolarmente a letture filosofiche e pur non credendo in una ideologia di Stato, ha sempre avuto una grossa considerazione per i filosofi e si è servito del loro pensiero per elaborare la visione ideale che ha ispirato le sue politiche. Eltchaninoff analizza uno per uno questi «vettori filosofici putiniani», facendo riferimento, da una parte, a scritti e discorsi del leader e, dall'altra, al parere (spesso raccolto in prima persona) di esperti e analisti di ogni tipo.

 

 

LA SVOLTA - In una prima fase, il leader russo si avvalorò un'immagine di sé "liberale": appese nel suo ufficio il ritratto di Pietro il grande, lo zar filoeuropeo, ed elevò l'illuminista Kant a referente principale. Dell'autore della Critica, egli apprezzava il severo richiamo alla legge, come architrave della democrazia, che perciò non è anarchia, anche se poi gradualmente il concetto sfociava in lui in quello più antico di ordine. La Russia, diceva quel Putin, ha come modello gli stessi standard umani ed economici dell'Occidente. In lui in verità era ancora molto forte l'eredità dell'ideologia sovietica in cui si era formato, non quella marxista-leninista ma quella che si era sedimentata nelle istituzioni, in primo luogo la polizia politica. l' idea è quella di una Russia accerchiata da forze nemiche ma potente e in grado di tener testa ai propri nemici. In molti, ci dice Eltchaninoff, incontrando Putin, hanno notato che è molto attento e rispettoso con ogni interlocutore, che mette al suo agio mentre cerca di conquistarne la mostrandosi accondiscendente. È come se ne studiasse il carattere.

 

 

LA VIA DELLA CEDEVOLEZZA - Quest'altro vettore è riconducibile, secondo l'autore del libro, alla «filosofia del judo», che come è noto è un'arte marziale da Putin praticata. Le basi di questo sport, che è anche una filosofia, come ha detto lui stesso, sono il rispetto degli altri, la gerarchia, il controllo della volontà. Esso insegna «la via della cedevolezza» che consiste «nel dare fiducia all'altro, osservandolo per capire su quale si potrà fare leva per fargli perdere l'equilibrio». Con la "svolta conservatrice", il vettore che è passato in primo piano è quello della "via russa". Il grande regista Nikita Mikkhalkov, è colui che amico gli ha fatto conoscere Ivan Il'in, l'esule che affidava alla Russia il compito di "salvare" l' intero Occidente dalla sua "caduta" nell'edonismo e nel materialismo (di cui l'Unione Sovietica era solo una variante). Sono soprattutto però gli autori della "via russa", in particolar modo quelli che non diffidavano completamente delle scienze ma le inserivano in una visione organica e non meccanica della realtà, a verificare la visione ultima di Putin.

 

 

GENGIS KHAN STATISTA - Il quale però sembra barcamenarsi fra le due correnti degli "slavofili" e degli "euroasisti". I primi, diversamente dagli occidentalisti, vogliono promuovere uno spirito nazionale con una forte visione religiosa, in stretta alleanza con la Chiesa ortodossa, insistendo sulle particolari virtù e la particolare organizzazione sociale dei russi. Gli euroasisti, a cui pure spesso Putin strizza l'occhio, criticano invece l'euro-centrismo dei primi, e in genere la tradizione greco-romana, riscoprendo le virtù del popolo della steppa, con la sua capacità di organizzazione e sopportazione. La figura di Gengis Khan è per costoro quella di un grande statista non di un sanguinario. Negli anni Novanta c' è stata una vera e propria rinascita di questa corrente sotterranea di cui il barbuto Alexsandr Dugin può considerarsi oggi la figura più rappresentativa. L'impressione finale, suffragata dall'uso che il presidente russo fa di due grandi autori classici come Dostoevskij e Berdjaev, che pure ha nel suo pantheon, è che Putin adatti i filosofi alle circostanze, manipolando a proprio uso e consumo le loro idee. In ogni dittatore, come ben sapeva proprio Dostoevskij, alligna in fondo in fondo un nichilista. Altro che sacri e più profondi valori da ristabilire!

 

 

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