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Marmolada, Reinhold Messner: "Ma quale fatalità? Di chi è la colpa"

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"Ma quale fatalità. Ieri c'erano dieci gradi in cima alla montagna. Dieci gradi è una enormità. Non esiste". Reinhold Messner, 78 anni, parla senza filtri con Alessandro Farrugia che lo ha intervistato per il Giorno a proposito della strage della Marmolada. L'alpinista, il primo a scalare 8 mila metri senza ossigeno, punta l'indice contro l'immobilismo di fronte al cambiamento climatico. "È una tragedia figlia del riscaldamento globale", tuona Messner. "Ma non possiamo lavarci l'anima dicendo che la colpa è del cambiamento climatico e pazienza, come se fosse un evento sovrannaturale e imprevedibile: in realtà la natura non ha mai colpa, la colpa è nostra che sappiamo benissimo che siamo responsabili del riscaldamento globale, ma che non facciamo nulla per invertire il trend. Abbiamo vissuto per decenni con il mito della crescita infinita, e questo è il risultato". 

 

 

Riguardo al ghiacciaio che è collassato domenica, Messner ricorda che lui è sceso sul ghiaccio della Punta di Rocca tante e tante volte. "Era facilissimo, era niente. Io non ho mai messo la corda scendendo da Punta di Rocca, era una discesa facile per un alpinista di una certa esperienza. Ma con l'aumento delle temperature quello che era niente dieci o anche cinque anni fa oggi può nascondere delle insidie mortali". Tecnicamente, spiega Messner, quello a cui assistiamo è parte di un cambiamento globale e tanti eventi come questo si ripeteranno. "Tanti seracchi verranno giù, tante frane caleranno da versati ripidi non più tenuti fermi dal terreno ghiacciato, il cosiddetto permafrost, tanti ghiacciai continueranno a ritirarsi a ritmi accelerati, come accade in tutto il mondo", spiega l'alpinista. "Tra 30-40 anni sulle Alpi di ghiacciai ne resteranno pochi. Sull'Ortles, il Monte Bianco, il Monte Rosa, qualcosa in Svizzera. Già ferite dallo spopolamento, le mie montagne sono sempre più sfregiate dal riscaldamento globale, ma questa è la realtà". La slavina della Marmolada non è quindi una fatalità, come dice chi vorrebbe minimizzare.

 

 

Messner prova a ricostruire anche la dinamica della tragedia: "In questo caso francamente non parlerei di colpa o imprudenza. Ho la sensazione", dice al Giorno, "che questi alpinisti sian saliti dalla parete sud, che è molto tecnica, il che vuol dire che sono bravissimi alpinisti, e poi siano scesi dalla Punta di Rocca. Ora, è vero che non devi passare sotto il seracco, è vero che sotto un seracco non si cammina e non si arrampica, ma se tu scendi a una certa distanza, come credo facessero queste due cordate, non puoi vedere il pericolo, il pericolo lo vedi solo quando passi sotto. E la sola cosa che puoi fare se vedi che il seracco è poco stabile è essere veloce per minimizzare il rischio. Ma a volte non basta. 

 

 

Quanto ai divieti di salita o discesa quando le temperature salgono l'alpinista non se la sente di addossare la colpa allo Stato, al soccorso alpino: "Sono contro tutti i divieti in montagna. La montagna è l'ultima zona selvaggia su questa Terra, un luogo dove noi umani possiamo metterci alla prova. Se rubiamo alle nostre generazioni la possibilità di fare queste esperienze, rubiamo loro una grande libertà. Un alpinista bravo sa dove ci sono i pericoli, studia bene le via di salita e di discesa. L'arte dell'alpinismo sta nell'andare dove la morte è una possibilità, ma non morire. Noi alpinisti andiamo strutturalmente dove la morte è una possibilità. Lo mettiamo in conto. Se fosse una cosa del tutto sicura perché lo Stato, il soccorso alpino o chi per lui prepara le montagne in modo che non possa accadere nulla, allora diventerebbe una cosa sterile e io non salirei più. E come me tanti altri". 

 

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