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Carlo Fidanza: "Il fascismo non esiste più. E oggi la sinistra nega la democrazia"

Pietro Senaldi
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"Sono io il primo a essere sorpreso. C'era stato un esposto anonimo lo scorso ottobre, poco dopo l'avviso di garanzia seguito alla cosiddetta inchiesta di FanPage sulla presunta "lobby nera", al quale non c'era stato seguito...».

Poi, quando l'inchiesta per finanziamento illecito e riciclaggio sembra spegnersi, ecco che dal cassetto rispunta quella vecchia storia e lei viene accusato di corruzione. Come a dire, caro Fidanza, non molliamo la presa...
«In questi nove mesi sono stato a disposizione della Procura, nella quale continuo a riporre fiducia. Intanto sono andato avanti a lavorare, rinunciando a ogni visibilità mediatica. Ora però non posso restare in silenzio, altrimenti qualcuno potrebbe scambiare il mio garbo per un'ammissione di colpevolezza».

 

Cominciamo dalla fine: lei ha assunto il figlio di un consigliere comunale bresciano in cambio delle sue dimissioni?
«Gli europarlamentari hanno a disposizione un fondo per i collaboratori sul territorio. Sono contratti fiduciari, possiamo scegliere chi vogliamo. Da tempo valutavo di avere un collaboratore su Brescia, un territorio importante dove ho sempre preso molte preferenze. Ho fatto un contratto part-time da circa 600 euro al mese a un giovane del nostro partito, che svolge regolarmente le sue mansioni. Al momento dell'assunzione gli mancava poco alla maggiore età, ma essere uno studente-lavoratore e interessarsi alla politica non è mica reato».

Però l'accordo politico con il padre c'era?
«Era consigliere e capogruppo. Rimanerlo gli avrebbe consentito di ricevere mille euro di gettoni al mese e di mantenere un ruolo di prestigio e anche, nel piccolo, di potere. Ma parliamo di un medico stimato a cui non ho mai sentito avanzare questioni di soldi. Semplicemente, fin dall'inizio del mandato, per motivi professionali e personali, non era riuscito a garantire una presenza assidua in consiglio comunale. Tutti sapevano della sua intenzione di dimettersi. Sono certo che si chiarirà ogni cosa: non c'è stata nessuna corruzione e nessun atto contrario al dovere d'ufficio, le dimissioni da consigliere sono state un gesto libero e volontario. In politica ci sta che uno molli per dedicarsi ad altro o lasciare il posto ad altri, senza che queste scelte costituiscano reato».

Del resto i precedenti non mancano...
«Andiamo a indagare tutte parentele degli assistenti del Pd con la stampa, gli uomini delle società pubbliche, i colleghi di partito? Sarebbe da sedersi con i pop corn. Andiamo a vedere il fenomeno delle porte girevoli tra privati e pubblica amministrazione? Vogliamo parlare dei legami perversi tra la sinistra e il mondo bancario?».

 

Ha la sindrome di Calimero?
«No, figuriamoci. Sono stati mesi durissimi, per me e la mia famiglia. Sono stato dipinto come una persona molto diversa da quello che sono. Ma ho le spalle larghe e ho al mio fianco tante persone che mi sostengono. Ho ancora fiducia nella giustizia».

Ma perché si accaniscono tutti su di lei?
«Una certa stampa lo fa per colpire FdI, per accreditare la tesi che dietro la Meloni ci sia solo gente scarsa o impresentabile. Siamo diventati grandi e siamo liberi, per questo siamo scomodi. Da qui a marzo 2023 dobbiamo aspettarci di tutto».

 


Carlo Fidanza, eurodeputato e co-presidente dell'Intergruppo per la libertà religiosa del Parlamento europeo, che si occupa di difendere le minoranze perseguitate nel mondo - cristiane in primis, ma non solo - festeggia quest'anno i trent' anni di attività politica. È un caposaldo della Meloni in Europa e al Nord, un tessitore raffinato, che insieme a Raffaele Fitto ha spianato a Giorgia la presidenza dei Conservatori europei, rassicurante ed efficace in tv, un lavoratore silenzioso e dal pedigree difficilmente eguagliabile, merito che talvolta, come forse nella vicenda dell'inchiesta su Brescia, ne fa bersaglio del cosiddetto fuoco amico. Per lui non è stata un'ottima annata: prima l'inchiesta di FanPage, un filmato che lo riprende a una cena elettorale con un estremista della destra milanese, Jonghi Lavarini, e una trappola, un giornalista che tenta, senza riuscirvi, di finanziare la campagna elettorale del partito in nero. Poi l'esposto bresciano. Le botte in testa non sono una novità però nella carriera di Fidanza, anzi... «Mi iscrissi a sedici anni all'allora Fronte della Gioventù, nella mitica sede di via Mancini» racconta.

Una militanza lunghissima e immacolata?
«Vuol sapere perché scelsi la politica attiva? Ero un simpatizzante e i compagni di Scienze Politiche mi pestarono fuori dal liceo Leonardo da Vinci, proprio come nella canzone di Vecchioni, solo che a colori invertiti. E quel giorno presi la mia decisione.  "Non vi vado bene perché sono di destra? Allora entro nel Fronte". Nella mia militanza non ci sono ombre e ho sempre saputo conquistarmi la stima e il rispetto anche dei colleghi di sinistra, senza mai rinnegare la mia appartenenza alla destra: una destra sociale, di valori forti, ma mai estremista né intollerante o razzista».

Una destra antifascista?
«Una destra moderna e democratica, che ha già fatto da tempo i conti con la storia. Già nel 1995 Alleanza Nazionale a Fiuggi prese le distanze dal fascismo perché aveva "conculcato", cioè schiacciato, la democrazia. Con quella dichiarazione valoriale, non di maniera, il fascismo è stato consegnato alla storia proprio dagli eredi di chi aveva avuto il merito di traghettare milioni di italiani nella democrazia dopo la dittatura e i lutti della guerra civile. La condanna di ogni forma di totalitarismo è scritta nero su bianco da quel giorno, netta e inequivocabile. Vale per tutti quelli che hanno condiviso quel percorso e vale quindi anche per me».

Cosa pensa dell'eterna diatriba fascismo-antifascismo?
«Che dovrebbe diventare materia per gli storici e non essere riutilizzata come una clava politica in ogni campagna elettorale. Non so se esistano italiani che vorrebbero resuscitare una dittatura fascista in Italia, io francamente non ne conosco. Tantomeno in FdI. Mentre troppo spesso la sinistra usa l'antifascismo in assenza di fascismo come una foglia di fico per nascondere le proprie divisioni e come un'etichetta con cui bollare chiunque non sia d'accordo con le sue tesi.
Io credo piuttosto che lo spartiacque di oggi sia tra chi crede nella democrazia e chi strizza l'occhio alle autocrazie. Noi su questo abbiamo assunto posizioni nette, si pensi all'Ucraina, anche a costo di perdere qualche elettore».

 

Le hanno dato dell'antisemita...
«Assurdo! Il solo pensiero che quel taglia e cuci di FanPage abbia potuto far pensare a una mia mancanza di rispetto verso gli ebrei mi ha turbato profondamente. Mi sono già scusato, perché ho la coscienza a posto, e non ho alcuna difficoltà a ribadirlo per allontanare da me qualsiasi ombra: non ho mai nutrito sentimenti antisemiti, ho sempre condannato le leggi razziali e tutto ciò che di tragico ne è conseguito. L'antisemitismo è una piaga del nostro tempo, che cova non soltanto nei gruppi politici radicali (sia a destra che a sinistra), ma è diffusissimo tra le comunità musulmane in Europa: credo di essere stato tra i pochi politici italiani a denunciare l'omertà sulla morte di Jeremy Cohen, un giovane ebreo francese schiacciato da un tram per sfuggire a un'aggressione antisemita nelle banlieue parigine. E poi da anni curo i rapporti di FdI con il Likud israeliano, le pare che accetterebbero di sedersi al tavolo con un antisemita?».

La Meloni l'ha perdonata per l'inchiesta di FanPage?
«A Giorgia sono grato. Chiedendo l'intero girato ha fatto capire agli italiani che quella storia non tornava. Ero stato ripreso di nascosto in un momento conviviale, mentre facevo il verso, in segno di dissociazione e di scherno, a una persona che aveva fatto un paio di battute cretine. Chi viene dalla nostra storia di militanza ha sempre combattuto il nostalgismo anche con l'arma dell'ironia, che spesso sa essere più tagliente di mille prediche. Nessuna apologia, nessuna "lobby nera", nessuna infiltrazione di pericolosi estremisti che condizionano la linea di FdI. Ma chi gode della fiducia di Giorgia Meloni ha il dovere di tenerla al riparo dai problemi. È il motivo per cui ho accettato di stare defilato in questi mesi».

Con questa intervista ritorna ufficialmente sulla scena pubblica?
«In realtà non ho mai smesso di svolgere la mia attività in Europa e di raccontarla sui miei canali social: oltre al lavoro a difesa delle minoranze religiose, ho rappresentato i Conservatori nella Conferenza sul futuro dell'Ue, seguo tanti dossier importanti per l'Italia, per la nostra economia e le nostre imprese. Con studio e dedizione, come ho sempre fatto e come mi è sempre stato riconosciuto anche da sinistra. FdI è una casa che ho contribuito a fondare, è una specie di seconda pelle per me. Il nostro operato a Bruxelles è più importante che mai, soprattutto ora. Per rispondere alle bordate quotidiane che ci arrivano c'è bisogno di avere tutti ai posti di combattimento, con o senza stellette».

 

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