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Omicron, Francesco Vaia: "Terrorizzare i cittadini è un assist al virus"

Pietro Senaldi
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Partiamo dal particolare: il mio vicino, 86 anni, mai avuto il Covid, ha fatto la quarta dose e dopo venti giorni si è ammalato.
In famiglia, tutti negativi. Deduco: la quarta dose non serve. E se serve, a che cosa serve?
«L'effetto principale dei vaccini è ridurre il rischio di malattia grave più che di infezione, e questo è tanto più vero con le varianti oggi in circolazione. La quarta dose riduce il rischio di malattia grave da due a quattro volte rispetto a chi ha fatto solo la terza dose. Questo effetto protettivo sulla malattia grave è maggiore più è avanzata l'età».

Però l'efficacia della quarta dose risulta durare 45 giorni. Significa che a settembre partiamo con la quinta: la profilassi di massa è diventata un gioco di società?
«Non credo che vaccinarsi sia un gioco, ma una opportunità che si offre alle persone più fragili. Il picco di efficacia della quarta dose dura in effetti poco, un paio di mesi, poi tende a scendere. Ma parliamo di efficacia dal contagio. L'effetto protettivo dalla malattia grave e dalla morte si mantiene molto alto (circa l'85%) e duraturo, anche nelle fasce di età più avanzate».

I vaccini sono farmaci: se ce ne spariamo 4 in un anno e mezzo non rischiamo l'assuefazione, o peggio l'intossicazione?
«ll vaccino riproduce artificialmente quello che fa naturalmente il nostro sistema immunitario, che è stimolato continuamente dall'incontro con i virus. Come per ogni intervento medico, vanno bilanciati rischi e benefici. Non dobbiamo arrivare al paradosso di "vaccino e cappuccino", un mese sì e uno no. Il tema però è un altro: non è in discussione lo strumento ma il suo adeguamento. Dobbiamo aggiornare i vaccini! L'arrivo di Omicron, che è quasi un altro virus e ha amplificato la sua straordinaria variabilità nei suoi tanti sottolignaggi ha generato un contagio di decine di volte superiore rispetto alle varianti precedenti, per cui vaccini concepiti contro quelle sono una coperta molto corta per i virus attualmente circolanti, che bucano facilmente la protezione immunitaria».

Mi sta dicendo che i vaccini in magazzino, con i quali stiamo facendo la quarta dose, non sono l'ideale contro l'attuale ondata di Omicron 5 e converrebbe attendere il nuovo ritrovato per essere davvero immunizzati?
«Questo è un punto chiave della discussione attuale: fare il secondo boost subito o aspettare i vaccini modificati (su Omicron BA.1 o addirittura BA.5)? Le posizioni si dividono perché con l'attuale capacità di trasmissione c'è poco da fare, almeno con questi vaccini. Io credo che vada fatta una valutazione sull'importanza per ogni persona di migliorare la risposta immunitaria. Con un'ondata così forte, può essere importante proteggere il più possibile la popolazione maggiormente a rischio. Poi, tra quattro mesi avremo tutto il tempo di ragionare con i vaccini aggiornati su Omicron».

C'è qualche errore che stiamo facendo, o ripetendo, nella lotta al Covid?
«Dobbiamo guardare oltre il nostro cortile. Abbiamo perso, finora, alcune sfide come la cessione a tempo determinato del brevetto e la protezione vaccinale dei Paesi più poveri. Dobbiamo riprovarci, rivalutando il ruolo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e, dentro essa, dell'Italia, Paese che ha il dovere di provare a dare un contributo più significativo nella lotta alle infezioni emergenti e riemergenti».


Dalla direzione dell'Istituto Lazzaro Spallanzani, il professor Francesco Vaia ha un punto d'osservazione privilegiato nella lotta al virus. L'esperienza sul campo l'ha portato a non drammatizzare mai, neppure nei momenti più difficili, e anche adesso che infuria la prima ondata estiva ci tiene a mettere un freno all'allarmismo. «In primo luogo, nessuno catastrofismo» premette. «In terapia intensiva allo Spallanzani non abbiamo un solo ricoverato affetto solo da Covid. La pressione sulle terapie intensive è contenuta e i quadri clinici sono molto meno complessi rispetto all'inizio della pandemia, anzi incommensurabilmente diversi. Si vedono pochissime polmoniti, soprattutto quella interstiziale bilaterale. E anche questo è un effetto dell'alta copertura vaccinale». Ma c'entra anche la mutazione genetica del virus. Oggi in pratica siamo in presenza di una nuova variante, meno patogena, cioè meno grave, delle precedenti.
«Potremmo addirittura parlare di Covid 22», sintetizza Vaia. «Dati osservati allo Spallanzani nell'ultimo semestre (1 gennaio-30 giugno 2022) mostrano che, in epoca Omicron 1, i ricoveri, sia in ordinario che in terapia intensiva, erano rispettivamente il doppio e il triplo di oggi».

Viene il sospetto che, per promuovere la vaccinazione di massa, l'abbiano sparata grossa in autunno e ora la gente si fida meno delle raccomandazioni del Governo e non va a fare la quarta dose, nemmeno chi dovrebbe?
«Forse all'inizio qualcuno ha impostato una comunicazione che può aver illuso che fare anche solo il ciclo vaccinale primario avrebbe mandato il virus a casa. La comunicazione non deve disorientare i cittadini. Il rischio è generare una depressione soggettiva e di popolazione che ci esporrebbe a un indebolimento delle difese immunitarie. Noi abbiamo sempre detto: che il vaccino non ci trasforma in supereroi, in Highlander».

La comunicazione sul Covid è ancora troppo terrorizzante?
«Meno di prima, ma riaffiora ogni volta che il virus ci propone numeri in aumento. A volte lo fa in modo francamente insopportabile, con effetti devastanti sui cittadini.
L'attuale corsa ai tamponi è un eccesso; bisogna restare calmi. E fin da gennaio dico che bisogna riconsiderare i tempi dell'isolamento».


I sostenitori della quarta dose affermano che l'efficacia del vaccino venturo è ignota perciò tanto vale immunizzarsi ora...
«Credo che il punto sia un un altro: offrire una protezione aggiuntiva a chi ora ne possa avere bisogno. Possiamo considerarlo quasi un provvedimento di emergenza, teso a fronteggiare l'ondata attuale, e una possibile coda oltre l'estate. Nessun sostenitore della quarta dose ritiene che i vaccini aggiornati non siano efficaci. Ma disporremo di questi vaccini solo verso la fine dell'anno. Fino a quel momento potremmo essere in balia di un virus che sta continuando a mutare».

Strategie per evitare il peggio?
«La strategia è una sola e non è più rinviabile: andare avanti rapidamente con l'aggiornamento dei vaccini sulle varianti, con dose di richiamo in autunno, e intanto proteggere i più deboli e fragili con la quarta dose. Sull'aggiornamento mi faccia fare un paragone con la Ferrari, grande macchina, grande orgoglio italiano e della nostra innovazione tecnologica che pone il Paese spesso all'avanguardia vincendo, ma se non la si rinnova ogni anno, non vince più. Così è il vaccino, così sono i farmaci. Bisogna innovare costantemente e mai dare la sensazione che si consumino scorte: sarebbe la fine dello strumento e della fiducia del cittadino nella scienza».

Ha questo sospetto?
«Non ci voglio credere; anzi, non ci credo».


L'ondata di Omicron 5 ha un precedente in Portogallo. Laggiù il contagio è sceso grazie alla quarta dose o seguendo la curva naturale di diffusione del virus: picco in tre mesi e poi giù?
«In Portogallo la nuova variante Omicron ha avuto un rapidissimo incremento e dopo aver raggiunto il picco, sta avendo una decrescita. Lo stesso avverrà da noi. L'andamento è determinato da diversi fattori, quali la diffusibilità del virus, i livelli preesistenti di immunità da infezione naturale e da vaccinazione ed i comportamenti sociali».

Chi muore di Covid oggi e quanti sono i decessi in rapporto ai malati?
«Muoiono soprattutto le persone con patologie preesistenti e sono una minima frazione di quelle che si contagiano».

È ipotizzabile un obbligo di vaccino anche sulla quarta dose. E nel caso, a che condizioni sarebbe utile introdurlo?
«Non credo che ora si ponga questo tema, non mi pare possibile che si possa tornare all'obbligo vaccinale. In questo scenario mi fermerei alla raccomandazione».

Ormai si vive normalmente, senza precauzioni, e non c'è un'emergenza ospedaliera: è passato il peggio e non tornerà più?
«Dobbiamo lavorare perché sia così. Certo siamo in fase molto diversa, con strumenti di prevenzione e terapie più sofisticati ed efficaci. Ma l'evoluzione delle varianti non ci consente di fare previsioni certe. Bisogna vedere in che direzione muterà il virus. Per un vero adattamento ci vorrà più tempo. Dovremo convivere con il SARS-CoV-2 ancora per un po'».

Significa che in autunno torneranno mascherine in classe, distanziamenti e smart working?
«Non bisogna assolutamente tornare alle misure restrittive, bisogna andare avanti. Ma possiamo ancora immaginare un anno scolastico con bambini con le mascherine, con le finestre aperte per areare e con i cappotti? È giusto spendere per le guerre e non per un piano finalmente concreto che metta in sicurezza le scuole ed i trasporti? Voglio lanciare un appello: questa crisi può darci l'occasione perché il governo, qualunque esso sia, ponga al centro questa problematica e la concretizzi.L'innovazione farmacologica e tecnologica può aiutarci. Il tipico esempio sono gli impianti di ventilazione meccanica, la cui efficacia è sostenuta anche dall'Oms, nei luoghi della socialità, a partire da scuole e trasporti, una misura ben più efficace delle mascherine. Lo diciamo, ignorati, da due anni. Ora forse qualcosa pare muoversi».

Nell'entourage del ministero c'è chi ha dichiarato ufficialmente che rischiamo trentamila morti di Covid in autunno. Anche lei ha questo timore?
«Credo si tratti di pure ipotesi che non sono particolarmente utili per indicarci cosa fare. Voglio chiudere con un invito all'ottimismo e alla corresponsabilità. I cittadini non vanno terrorizzati e incolpati del virus ma rassicurati e guidati. Non iniziamo oggi a parlare di una riapertura delle scuole tutti in mascherina. Attiviamoci perché le mascherine non tornino più».

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