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Aldo Cazzullo, la profezia sul centrodestra: "Rispetto a quel che dicono i sondaggi..."

Francesca D'Angelo
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 Aldo Cazzullo, devo farle i miei complimenti per il tempismo.
«Perché?».

Mercoledì debutta su La7 con il programma storico Una giornata particolare e la puntata in onda appena prima delle elezioni è dedicata alla Marcia su Roma...
«Non è colpa mia se le elezioni cadono proprio nel centenario della Marcia! (ride, ndr)».

Mi sembra che la sua sia una proposta che parta, sì, dalla Storia, ma per riflettere sull'attualità e capire meglio il presente. O sbaglio?
«È così. Cerco di raccontare storie che ci riguardino. È vero che parliamo di Mussolini, Napoleone o Galileo, concentrandoci su alcune giornate particolari che hanno segnato la loro storia, ma se oggi noi siamo quello che siamo è proprio perché ci sono stati questi fatti e questi personaggi».

 

 

 

L'approfondimento storico è un tema che attira ancora gli italiani?
«Sì, soprattutto quando coincide con le storie delle nostre famiglie. Me ne sono accorto quando ho scritto il libro sulla Prima Guerra Mondiale: molti hanno avuto il nonno o il bisnonno che hanno vissuto la guerra».

Al Duce è dedicato anche il suo nuovo libro "Mussolini il capobanda", in uscita domani (Mondadori Editore). Come mai tutta questa passione per l'argomento?
«Il fatto è che ci sono alcuni equivoci da sfatare. Per esempio, è invalsa l'idea che Mussolini le avesse azzeccate quasi tutte, fino al 1938, e che poi semplicemente sia incappato nella guerra e nelle leggi razziali. Non è così: la guerra è insita nel fascismo e prima del '38 Mussolini aveva già provocato la morte di diversi oppositori, come Matteotti, Gramsci, Gobetti, Carlo Nello Rosselli, Giovanni Amendola, don Minzoni... e di loro solo uno era comunista».

Sta dicendo che l'antifascismo non è appannaggio esclusivo della sinistra?
«Precisamente. Essere antifascisti non vuol dire essere comunisti: è un valore comune a tutti, così come l'anticomunismo. Il nazifascismo fu sconfitto infatti da uomini di destra, come Winston Churchill e Charles de Gaulle, e molti capi della resistenza erano liberali, monarchici, cattolici... Per non parlare degli internati italiani in Germania che preferirono il lager piuttosto che combattere per Hitler. Tra loro c'era Giovanni Guareschi, che certo non è comunista».

Eppure è invalsa tutta un'altra idea: perché?
«C'è una sorta di auto assoluzione: prevale un (errato) giudizio consolatorio su Mussolini, per cui "in fondo le aveva azzeccate tutte fino al 38". Inoltre c'è stata un'appropriazione della memoria da parte della sinistra nel dopoguerra. Così, oggi, l'Italia è l'unico Paese dove la parola destra è sinonimo di fascismo, mentre per esempio in Inghilterra e in Francia vuol dire essere liberali».

Sempre nel libro scrive: "Meloni e Salvini non sono fascisti, ma sono anti-antifascisti". Esattamente, qual è la differenza?
«Be', c'è eccome! In Italia i fascisti sono pochi, anche se non pochissimi. Gli antifascisti sono tanti, anche se non tantissimi. E poi c'è appunto una maggioranza che ha un'idea consolatoria di Mussolini, come le dicevo prima. Questo per dire che il passato non torna mai e la storia non si ripete nello stesso modo. Per essere ancora più chiaro, il 25 settembre non si vota tra fascismo e antifascismo».

Quindi?
«Quindi né Meloni né Salvini hanno fatto mai professione di anti-fascismo. Il loro discorso semmai è: andiamo oltre, superiamo e consegniamo il fascismo alla storia. Secondo me invece la memoria storica resta importante: non può risolversi tutto con un "volemose bene"».

 

 

 

Secondo lei, il 25 settembre, tra i due litiganti (Pd e FI), potrebbe essere che a godere sia il terzo... polo?
«No, non credo. Anzi, la vittoria della destra potrebbe essere molto più larga e netta di quello che dicono i sondaggi».

Riusciremo mai a non essere un popolo diviso tra Guelfi e Ghibellini?
«Più che altro siamo un popolo che crede poco nella democrazia rappresentativa: fatichiamo a concepire che chi è al potere non faccia innanzitutto i propri interessi. Poi, certo, c'è stata l'epoca dei partiti di massa ma io, francamente, non ho nostalgia della Prima Repubblica».

Com' è possibile?
«I partiti controllavano tutto: banche, imprese pubbliche. Oggi invece hanno meno potere e meno competenze».

Soprattutto la seconda, direi.
«Non posso contraddirla, tant' è vero che puntualmente ci affidiamo a dei tecnici: prima Monti, poi Draghi, con la differenza che il primo doveva tagliare, il secondo aveva soldi da investire. Approfitto per aggiungere che con il Pnrr si sarebbe già dovuto realizzare almeno una grande opera pubblica, per esempio la Napoli-Bari o il ponte sullo stretto».

Il ponte sullo stretto di Messina rientra tra i miracoli, Aldo...
«Noi chiamiamo miracolo economico quello che altrove si chiama sviluppo».

In Una giornata particolare parlerà anche di san Francesco d'Assisi. Scuoterà qualche vertice in Vaticano?
«No. Tra l'altro continuo a pensare che il cristianesimo sia un valore molto importante. Lo stesso prete resta una figura che abita ancora le nostre vite».

Cosa ne pensa di Papa Francesco?

«Onestamente mi ha un po' deluso. Per esempio sulla questione Ucraina avrei preferito se avesse preso una posizione più netta: per come la vedo io, Putin è un criminale, che non merita alcun tentativo di giustificazione».

Sbaglio o c'è stata un'"eclissi politica" dei cattolici?

«Be', dopo 40 annidi governo delle DC, direi che una pausa può starci... Battuta a parte, la Chiesa è ancora una realtà viva e socialmente importante: il cattolicesimo è ancora la giovinezza d'Italia, non una materia per decrepiti. Il problema è che in generale i giovani, credenti e non, snobbano la politica».

Nell'autunno 2020, lei ha dichiarato: "Gli italiani hanno reagito bene alla pandemia, siamo un popolo straordinario". Ora, con il senno del poi, vuole avvalersi del diritto di rettifica?

«No, no: confermo tutto. Siamo stati strepitosi: penso al personale medico, ma anche ai cassieri che hanno lavorato in pieno lockdown, ai nonni che hanno rischiato la salute tenendo i propri nipoti a casa, alle forze dell'ordine che non si sono mai fermate. Poi, certo, sono stati commessi degli errori ma paradossalmente noi italiani siamo stati più ligi alle regole di altri Paesi, anglosassoni in primis».

Che ricordo ha del Cazzullo agli esordi del giornalismo?

«Sono sempre stato una persona curiosa, che ama parlare con le persone. Oggi come allora sono felice perché faccio un mestiere che coincide con la vita».

Un'ultima cosa: ma voi del Corriere ci state copiando? No, perché prima Alessandro Gassman e compagnia si arrabbiavano solo per i nostri titoli...

«Nei titoli bisogna osare... (ride, ndr)». 

 

 

 

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