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Cazzullo, il consiglio a Meloni: "Come liberarsi per sempre dal fascismo"

Pietro Senaldi
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«Il fascismo non tornerà mai più, ma non tutte le sue idee sono morte. In Europa c'è un nazionalismo xenofobo diffuso e conviene soprattutto alla destra combatterlo. Certi rigurgiti fanno il gioco della sinistra, che li strumentalizza per legittimarsi politicamente».

Asserragliarsi sulla trincea antifascista e farne il cavallo di battaglia principale della campagna elettorale però non ha portato bene al Pd e a Letta. Perché?
«La religione dell'antifascismo è un'arma politica inutile. Gli italiani non avvertono, giustamente, il rischio di una dittatura e la maggioranza dei cittadini ha, ingiustamente, un giudizio non troppo negativo del regime».

Com'è possibile?
«Un po' perché la neonata Repubblica riciclò gran parte della classe dirigente fascista. Non ci furono un'autentica assunzione di responsabilità collettiva né una profonda presa di distanza dal regime. Molto anche per una rimozione di massa. Gli italiani preferirono non processare se stessi e i loro padri, le famiglie perdonarono, o meglio cancellarono tutto dalla coscienza collettiva».

Come si concilia questo con il fatto che la nostra Costituzione si fonda sull'antifascismo?
«Noi italiani siamo particolari: la storia nazionale ci commuove e ci coinvolge quando coincide con quella delle nostre famiglie. In tanti hanno pensato: era fascista ma era mio padre, quindi non poteva avere torto. Quando poi è risultato evidente che anche i comunisti hanno commesso crimini efferati, si è pensato: hai visto? Gli altri erano peggio».

Il sociologo Luca Ricolfi sostiene che, oltre che da un'incompiuta maturazione democratica, l'indulgenza degli italiani verso il fascismo dipenda da una sorta di imbarazzo collettivo...
«Nell'autoassolverci siamo arrivati a raccontarci che il bilancio del fascismo, fino alle leggi razziali del 1938 e alla guerra, fu in fondo positivo. Invece no, ci furono crimini ed errori tragici fin da subito. Il punto è che l'antifascismo è diventato antipatico perché la sinistra se ne è appropriata e ne ha fatto la sua bandiera, così la maggioranza dei cittadini lo equipara al comunismo e allora se ne allontana, non lo rivendica. L'ho vissuto sulla mia pelle: ho scritto il libro "Mussolini, il capobanda", descrivendo le nefandezze del regime, e mi hanno dato del comunista, insultandomi ferocemente, ma io sono un liberale...».

Quando è nata l'antipatia per l'antifascismo?
«Negli anni Settanta, quando la sinistra divenne anche violenta e se compravi il giornale sbagliato rischiavi le botte in strada perché eri un maledetto borghese. Quel clima di intimidazione e brutalità non aveva nulla a che fare con l'antifascismo ma si presentava come tale e il Pci non l'ha sconfessato come avrebbe dovuto».

La sinistra ha operato una sorta di sequestro della Resistenza, cancellandola dalla memoria comune del Paese e riservandola solo a se stessa?
«La destra dovrebbe rivendicare di aver contribuito alla sconfitta del nazifascismo, battuto da Churchill e De Gaulle, che erano uomini di destra».

Il libro di Aldo Cazzullo, uscito a settembre, risulta il più venduto in Italia e il successo è tale che ne è subito nato uno spettacolo teatrale, "Il duce delinquente", nel quale il vicedirettore del Corriere della Sera racconta fatti storici e l'attore e scrittore legge testi di Mussolini, il tutto accompagnato da musiche e canzoni del Ventennio. È una rievocazione spietata, che restituisce il ritratto di «un uomo cattivo», come lo definisce l'autore, «insensibile davanti alle montagne di cadaveri degli alpini, respinti dai greci in Albania, dove il Duce si recò per evitare il tracollo, quasi compiaciuto della tragica fine di chi aveva perso, e capace perfino di chiudere e far morire in manicomio a 25 anni Benitino, il figlio illegittimo avuto da Ida Dasler, pure lei ricoverata a forza, fatto passare per folle perché sosteneva che Mussolini fosse suo padre». Il lavoro è stato pensato perché uscisse in concomitanza con il centenario della Marcia su Roma e Cazzullo ha scritto quando il governo Draghi era nel pieno dei suoi poteri e si pensava che si sarebbe andati a votare l'anno prossimo. «Nessuna operazione opportunistica o mirata all'incarico di Giorgia Meloni come presidente del Consiglio» precisa il giornalista, per nulla felice che l'arrivo sul mercato del suo libro sia coinciso con l'insediamento del primo esecutivo di destra della Repubblica. «Mi infastidisce l'idea che si possa equivocare e pensare che il lavoro sia legato all'attualità politica» confida Cazzullo, che alla premier dà un sentito consiglio: «Non basta la condanna in Aula delle leggi razziali, non è sufficiente dire "non ho mai provato simpatia per il fascismo, come per tutti i regimi", il presidente del Consiglio dovrebbe esprimere una condanna globale e definitiva del regime e celebrare il 25 aprile, approfittandone per ricordare che la Liberazione non fu solo un merito della sinistra ma che molti partigiani erano cattolici, liberali, monarchici e non solo comunisti. Le prime bande partigiane furono composte da alpini reduci dalla Russia che rifiutarono di arruolarsi con la Repubblica di Salò».

Festeggiare il 25 aprile non significherebbe cedere alla sinistra?
«Non deve farlo per la sinistra ma per se stessa, visto che è lei la principale vittima dei rigurgiti fascistoidi che ogni tanto si manifestano nel Paese».

Quindi la Meloni dovrebbe anche togliere la Fiamma dal simbolo di Fratelli d'Italia?
«Secondo me le fa perdere più voti di quanti non gliene conservi. Ai giovani della Fiamma non interessa, mentre sono convinto che ci sia un 2% di vecchi liberali e democristiani che alla fine ha votato Berlusconi proprio perché allergico alla Fiamma».

È per la Fiamma che la sinistra sta facendo un'opposizione così dura alla leader di Fdi?
«In verità, la nostra sinistra si scatenò contro Berlusconi molto più di quanto non stia facendo oggi contro la destra; perché l'attuale presidente del Consiglio viene dalla politica, e quindi è meno indigesto e fa meno paura ai partiti dell'opposizione di quanto non la facesse il leader di Forza Italia, padrone delle tv e del Milan, che aveva in mano le anime degli italiani».

La sinistra chiede alla destra di ripudiare il fascismo, ma perché si inalbera se qualcuno le chiede di ripudiare il comunismo, o semplicemente vuole festeggiare il 9 novembre, giorno della caduta del Muro di Berlino?
«In Italia abbiamo subito il fascismo e non il comunismo».

Questa è la risposta standard, ma non si addice a una sinistra europeista e globalista...
«La nostra sinistra alimenta il falso mito del comunismo buono, quello all'italiana, per intendersi. Io invece in questo la penso come Berlusconi e sono convinto che il 9 novembre andrebbe festeggiato come festa di liberazione dal comunismo, che ha portato ovunque morte e lacrime. Non mi piace quando D'Alema si definisce un vecchio comunista, ma sono convinto che nella nostra storia nazionale siano insite radici fasciste più che comuniste».

Perché dice questo?
«Il fascismo l'abbiamo inventato noi, e poi l'abbiamo esportato in tutto il mondo».

Chi più, chi meno, tutti gli italiani erano fascisti...
«È falso, anche perché è impossibile misurare il consenso di una dittatura. La maggioranza subì il fascismo, che si impose con la violenza e centinaia di morti: i socialisti di San Lorenzo gettati dalle finestre, il segretario della Camera del Lavoro di Torino legato a un camion e trascinato per le vie della città... Nel 1922 lo Stato liberale era collassato, l'Italia era allo sbando e i fascisti si imposero anche perché erano i più spietati, quindi i più forti».

Però il mito di Mussolini è una realtà ancora oggi...
«Noi italiani non abbiamo un rapporto maturo con il potere. I leader non vengono sostenuti o criticati, ma blanditi o abbattuti. È capitato, in circostanze ovviamente non paragonabili, a Mussolini, Craxi, Moro, Andreotti, un po' anche a Berlusconi. Abbiamo subito troppe dominazioni e perciò diffidiamo dello Stato e della democrazia rappresentativa. Per noi è inconcepibile che qualcuno possa usare il potere per il bene comune e non invece per se stesso e i propri cari».

Se l'è meritato la Meloni, il potere?
«Sì, lei ha una storia personale bella e da rispettare. Non ha nessun legame con il fascismo, ma semmai tentazioni sovraniste che però non le impediscono di comprendere che con l'Europa è meglio trattare. Per questo non le conviene litigare con la Francia».

Veramente lei si dice europeista, solamente per un'Europa Confederale...
«Nella Meloni è viva la vecchia anima atlantista, filo-israeliana e liberale del Movimento Sociale, quella di Almirante e di Fini, che ha prevalso su quella filo-islamica, terzomondista e antiamericana che è invece più vicina alla memoria del fascismo».

Quanto durerà il governo?
«Lei è in gamba e ha una forte personalità, ma ha alleati scontenti o che hanno abbassato la testa molto controvoglia, e in Italia i governi non reggono l'intera legislatura. E poi oggi gode del dividendo di non aver mai governato, che presto è destinato a esaurirsi».

Però manca l'opposizione...
«Il Pd lo vedo meglio di come viene descritto, specie se non tenterà di tornare al governo subito e senza passare dal voto. Certo, ogni volta che si modernizza perde voti. Aveva trovato uno capace di prendere i voti a destra, Renzi, ma l'ha cacciato come un usurpatore. Ora deve recuperare il voto popolare, rendendosi conto che il prezzo dell'immigrazione lo pagano appunto i più poveri».

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