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Meloni-Ursula, "rispetto al primo incontro...": l'indiscrezione decisiva

Pietro Senaldi
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Più diverse di così, non potrebbero essere. Ursula von der Leyen, nobile figlia di papà ministro e governatore di Lander, a Bruxelles fin dalle elementari, migliori scuole internazionali con tanto di laurea in medicina sospettata di plagio, come da curriculum per ogni buon politico tedesco. Una carriera nelle istituzioni all'insegna della cooptazione, al governo di Berlino grazie alla sua grande domina, più che amica, Angela Merkel, e poi a quello europeo, sempre in virtù del medesimo sponsor. Ovunque, scandali in serie, tra super consulenze per decine di milioni, vendite di armi a Paesi canaglia, elicotteri comprati come fossero portaerei e sospetti sui vaccini gonfiati. Benché manchi un anno e mezzo al termine del suo mandato, Ursula forse si sente già come uno yogurt scaduto e si attacca al tempo che fu. In Germania, da dove dovrebbero indicarla per il prossimo incarico, comanda la sinistra, mentre lei è della Cdu, e in Europa la maggioranza che la sostiene si è squagliata e Popolari e Conservatori puntano su altri, gente vergine rispetto all'alleanza arcobaleno tra sinistra-grillini-centro e fauna varia che la ha espressa.

Dall'altra parte della photo opportunity c'è Giorgia Meloni, quasi figlia di N.N.; anzi, per lei sarebbe stato anche meglio se fosse andata proprio così. Brava a scuola, ma oltre al liceo della Garbatella non si va, perché ha iniziato a calcare le piazze da leader all'età in cui Ursula doveva cambiare ancora due facoltà di laurea; e soprattutto, una self made woman della politica che si sente all'inizio dell'avventura, benché sia in giro da trent' anni. Più che il passato però, a dividere queste due donne è il futuro. La romana è presidente del partito Conservatore Europeo, ma vorrebbe cambiare l'Europa da cima a fondo. La tedesca flirta con i progressisti, ma non vorrebbe mutare proprio nulla, soprattutto l'asse franco-tedesco che regge l'Unione, con Berlino due scalini sopra Parigi, a sua volta tre su tutti gli altri.

L'INCONTRO
La Commissaria era ieri a Roma per celebrare, con il suo ex collega presidente Romano Prodi, il piddino Sassoli, scomparso un anno fa, e presentarne il libro, un peana alla Ue, una serie di buone intenzioni sui compiti e l'importanza dell'Unione raramente diventate realtà. L'incontro con la nostra premier è stato aggiunto in corsa, ma da contorno è diventato il piatto forte. Poteva essere all'insegna del grande freddo ma non è andata così. Solo quattro mesi fa, alla vigilia delle elezioni Politiche, la von der Leyen aveva abboccato all'esca velenosa di Enrico Letta, che era volato a Berlino, dal cancelliere progressista Scholz, a screditare l'Italia e chiedere manforte contro il pericolo fascista imminente, e aveva giurato che l'Europa avrebbe vigilato sulla tenuta democratica del Bel Paese.

Anche per questo il primo faccia a faccia tra Ursula e Giorgia, due mesi fa a Bruxelles, dove il nostro premier era volato per «far vedere all'Unione che non siamo marziani», era stato cortese ma teso, tipo vertice tra stoccafissi. Ieri invece il ghiaccio si è sciolto, almeno così giura chi era presente all'appuntamento, ben più di quanto non si intuisca dai laconici comunicati. «Perché si è lavorato e non si è fatto festa» è la spiegazione che filtra. Argomenti sul tavolo, quelli previsti: come procede il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, gli effetti della manovra italiana appena licenziata dal Parlamento sull'economia e sui conti del Paese, l'inflazione e il caro materie prime, l'immigrazione dal Nord Africa, tassa europea che paga solo l'Italia, e come fare per collettivizzare il problema.

 

 

Cronaca dell'incontro: grande fair-play tra le parti, comprensione delle richieste di Roma, disponibilità a lavorarci sopra, approvazione di come procede il lavoro italiano sul Pnrr, unità di visione sulle difficoltà economiche comuni e sul tema accoglienza, in special modo sulla teoria meloniana di cercare di risolvere il problema in Nord Africa, attraverso euro-investimenti che consentano lo sviluppo del Continente Nero e non lo lascino alle sole fauci cinesi. Risultati portati a casa? Non era la sede, e d'altronde neppure la persona. Von der Leyen capisce di economia forse meno della governatrice della Bce, Christine Lagarde, e gode di autonomia zero rispetto agli Stati che rappresenta, Germania inclusa.

 

 

Sull'immigrazione poi, la Ue ha già chiarito che nessuno intende aiutare l'Italia come Roma vorrebbe, e certo Ursula non canta fuori dal coro. Qualche buona notizia arriva sull'inflazione, dove noi portiamo avanti l'idea che fu di Draghi di creare un fondo europeo che fermi il boom dei prezzi ma la Ue a trazione tedesca preferirebbe piuttosto consentire ai Paesi membri di indebitarsi ancora di più a patto però di cavarsela da soli. Ci è venuto in soccorso il presidente dell'Eurogruppo, cioè dei ministri delle Finanze, Pascal Donohoe, irlandese, che era a Roma però non con von der Leyen, ma per incontrare Giorgetti. Si è registrata un'apertura in tal senso, e speriamo che ci si impieghi meno dei sei mesi che sono stati necessari per strappare a Berlino il via libera sul tetto al prezzo del gas. Qualcuno lo spieghi a Ursula... 

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