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Vittorio Feltri, il segreto di chi lavora: perché la pensione non è la felicità

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Vittorio Feltri
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Il Parlamento si accinge a esaminare una legge tesa ad aiutare i vecchi, cioè a rendere loro l’ultima fase della vita meno amara. Non conosco nei dettagli le norme che saranno approvate. Ma conosco la problematica e so benissimo quali sono le esigenze della terza età. La prima delle quali è la necessità di essere rispettata come avveniva una volta quando il nonno era circondato dall’affetto della famiglia, che vedeva in lui una fonte di saggezza. Oggi il costume si è modificato. E una persona molto attempata è considerata un peso che necessita di cure e che spesso è reputata un ingombro, pertanto viene convinta a recarsi all’ospizio che i figli, per invogliarla ad accettare la “reclusione” gliela dipingono come fonte di serenità. Tutte balle.

 


Vale sempre e oggi più che mai un detto popolare: due genitori sono in grado di crescere dieci figli sopportando sacrifici mostruosi, mentre dieci figli non sono in grado di accudire la mamma o il padre. Gli avi in questo momento storico vengono sopportati solo nel caso contribuiscano con la loro pensione a integrare il reddito famigliare, cioè a mantenere i nipoti. Spremere gli anziani ormai oltre a una abitudine immorale è diventata una esigenza esistenziale. La rivalutazione della vecchiaia va perseguita, innalzando se possibile le pensioni che raramente sono adeguate alle necessità del quiescente. Per un motivo semplice e drammatico: si va a riposo troppo presto anche a causa dei cosiddetti prepensionamenti. Intendiamoci, un carpentiere non può sgobbare sui tetti a settanta anni, non merita di andare ogni mattina sul cantiere ma deve rilassarsi all’osteria. Mentre un impiegato delle Poste può faticare tranquillamente fino a quell’età.

 


Finché un individuo lavora suscita ammirazione, non solo, ma aumenta la somma che l’Inps poi mensilmente dovrà versargli, consentendogli di campare decentemente. Chi guadagna gode di considerazione anche a casa sua, chi invece incassa un assegno misero è condannato alla clausura in qualche fetido istituto, dove spesso gli anziani sono maltrattati e di norma crepano nella disperazione. L’ottanta per cento degli impieghi si può svolgere anche quando il corpo non è più in forma. Io, per esempio, che pure non sono un mostro di salute e pur compiendo 80 anni il prossimo giugno, ho cominciato a fare il dipendente a 14 anni, e la sera studiavo per migliorare la mia condizione.

E pure oggi, ogni dì, inclusi il sabato e la domenica, mi do da fare senza requie. Essere sempre attivi aiuta a stare bene anzitutto di testa. Nei piccoli centri abitati, tuttora davanti a un signore in declino ci si toglie il cappello, i vecchi sono stimati e godono spesso di ottima salute. Il guaio è nelle grandi città dove non esistono più neanche le osterie dove i signori maturi possano almeno giocare a tressette. Io non ho niente di speciale da chiedere allo Stato, mi piacerebbe soltanto che i miei coetanei non fossero valutati come relitti, bensì come cittadini ai quali riservare un minimo di attenzione perché quello che dovevano dare lo hanno dato senza risparmiarsi. E se alcuni di essi che hanno un malessere si recano al Pronto Soccorso non siano considerati dei rompiballe ma gente meritevole di essere assistita con grazia. 

 

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