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Francesca Pascale insulta Salvini? Toh, che cosa "scorda"...

Giovanni Sallusti
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Era Elly Schlein prima di Elly Schlein, e infatti ha rubato piazza, palcoscenico e microfoni inginocchiati alla ancora acerba segreteria del Pd. Stiamo parlando di Francesca Pascale, da ieri ancor più leader del caravanserraglio LGBTQIA+ (pare sia l’ultima e più inclusiva definizione, almeno finché il cretinismo politicamente corretto sfornerà la prossima).

Milano, piazza della Scala, adunata arcobaleno contro lo stop alla trascrizione dei figli di coppie dello stesso sesso imposto al Comune dal governo (e ben prima da quel meccanismo fascista noto come biologia). Francesca arriva con caschetto biondo, occhiale scuro, camicetta bianca. Non deve fare nulla, i cronisti la circondano immediatamente, sanno che è lei la vera ideologa presente, la Simone de Beauvoir 5.0 di questi tempi pazzotici, dalle esercitazioni col Calippo su “Telecafone” all’home page del Corriere della Sera. Parte subito dialogante: «Gli omofobi di questo Paese e i sovranisti di questo governo ci trattano peggio dei criminali».

 

GRANDI CLASSICI
Poi mostra di aver assimilato un classico del progressismo, l’autocertificazione di superiorità morale: «Oggi tutte le persone che sono dalla parte dei diritti civili non possono fare altro che votare Elly Schlein». Il Partito Unico dei Buoni e dei Civili, è l’ossimoro di un autoritarismo petaloso, condito con abbondanti dosi di vittimismo quaresimale. «Non riconoscersi nei valori di centrosinistra e votare perla destra, nelle mie condizioni, sarebbe come se un capretto votasse per la Pasqua».

Ma lei non vuole «insultare nessuno», ci mancherebbe. Per confermarlo, tiene a precisare che «definisco Salvini omofobo, definisco omofobi i sovranisti (categoria ampiamente esauritasi con la stagione draghiana, ma non cavilliamo, ndr)». D’altronde, e qui Francesca si lascia andare a ricordi personali per nulla in odor di strumentalità, «io rompevo l’anima a Berlusconi quotidiniamente, fino a far finire la nostra storia». Infatti, da attenta studiosa dell’ordine spontaneo secondo Friedrich von Hayek e della teoria della società aperta in Karl Popper, l’ex starlette di “Telecafone” ripeteva al Cavaliere recalcitrante «che i liberali a braccetto con i sovranisti non avrebbero potuto avere che la fine di se stessi, e così è successo».

 

Insomma, mettendo da parte l’italiano ipotetico, la rottura con Silvio è figlia dell’intransigenza dottrinale di lei sull’essenza del liberalismo: avevamo un Antonio Martonio in gonnella, e non ce ne eravamo accorti. In ogni caso, oggi Berlusconi lo sente «di rado ma con piacere», un piacere immaginiamo totalmente slegato dalla buonuscita di venti milioni e dal vitalizio di un milione l’anno che avrebbe ottenuto dopo la fine della relazione. Sono pensieri da biechi maschi reazionari, non hanno cittadinanza nel mondo dei puri inverosimili e dei discriminati immaginari, il nuovo mondo di Francesca. Che dimostra un’ossessione sopra tutte, il maschio reazionario alla guida della Lega: «Vorrei dire che Paola Turci è mia moglie, ma non è mia moglie, sono unita a lei civilmente. Perché non può esserlo, perché non piace a Salvini?».

L’OSSESSIONE
L’oggetto della fissazione monomaniacale in ogni caso non si scompone, e con un post riconduce lo sfogo pascaliano alla sua autoreferenzialità: «Quanta rabbia, quanto odio. Io rispondo con lavoro, pace, amore e rispetto». Non fa una figura migliore, la pasionaria al Calippo, durante il battibecco col giornalista Piero Ricca, che muove proprio dagli esordi televisivi incontestabili. «Quando lei faceva i lecca lecca a Napoli, gli spot col gelato, io facevo già le contestazioni a Berlusconi». «Non si rivolga a me con questo atteggiamento perverso e maschilista, il suo alito già dice tutto», è la riposta conciliante e nel merito. C’è da dire che Francesca mostra di aver appreso i rudimenti della bassa cucina politica, perché prova a incunearsi nell’unità governativa: dopo le mazzate a Salvini, butta là un precottissimo «ho fiducia nella figura di Giorgia Meloni. Voglio avere fiducia nella donna che è». Salvo specificare: «Meloni dovrebbe riflettere, perché non è una guerriglia tra chi è omosessuale e chi è etero». Non è una guerriglia, dice la Giovanna d’Arco delle truppe arcobaleno a forte tasso di spritz e ipocrisia, dopo aver dichiarato guerra a mezzo Paese. Ma, si sa, il principio di non contraddizione è un’anticaglia omofoba.

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