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Carlo De Benedetti, "veleni e sostituzioni": il clamoroso flop di Domani

Francesco Specchia
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Chiamateli piccoli presagi, segni del destino, semiotica dell’editore. Quando l’Ingegnere bofonchia nervoso; sbuffa più del solito; distilla un livore incontrollato per la Meloni da qualsiasi palco e in qualunque posizione; e comincia ad indicare i direttori dei suoi giornali come «quello là..» cancellandone nome e identità; be’, ecco, è proprio in quei momenti che capisci che Carlo De Benedetti sta pensando a trombarti. Se, infine, sorride - come ha fatto alla sua festa del suo giornale a Modena, pochi giorni fa - CdB ha già individuato a chi dare la colpa. Ed è per questo, che, quando l’Editore del quotidiano Domani fa fuori poco educatamente il suo direttore Stefano Feltri; bè, si tratta sì di un lampo, ma non del tutto a ciel sereno. Solo fino a 24 ore prima Feltri discuteva, ignaro, da direttore del Domani, sulla possibilità di dare del “collega” a Matteo Renzi subentrato nella direzione editoriale del Riformista.

Ventriquattro ore dopo, Stefano s’è ritrovato col licenziamento sulla scrivania, accompagnato da una nota che era il sussurro del capo. E cioè: «Il cda di Editoriale Domani spa ha deciso un cambio alla direzione del quotidiano nominando direttore Emiliano Fittipaldi, già vice direttore di Domani. L’Editore e il cda ringraziano Stefano Feltri per l’impegno e il lavoro svolto in questi anni». Vaghi ringraziamenti formali al lavoro svolto, buona fortuna. Punto. Stefano Feltri, che è un signore dai pensieri e coscienza in ordine, ha abbozzato, e ha ribattuto: «Dopo quasi tre anni di intenso e appassionante lavoro, si chiude la mia esperienza di direttore del quotidiano Domani che ho contribuito a fondare con un team piccolo ma battagliero di giornalisti nel 2020». E ha chiosato: «Non è mio costume fare polemiche o commenti sui posti in cui ho lavorato, quindi non chiedetemeli». Un aplomb invincibile, il suo.

PUNTARE AL DIGITALE
Non ha neanche battuteggiato intorno a quel passaggio del comunicato aziendale su «l’Editore ha deciso di sostenere il giornale con nuovi importanti investimenti in ambito digitale al fine di consolidare il ruolo che Domani si è conquistato nell’ambito del panorama informativo italiano». Che sa di beffa, perché era Feltri a voler puntare alla versione web; mentre l’Ing s’impuntava cocciutamente perla costosa scelta cartacea, comprensiva della distribuzione capillare sul territorio e degl’inserti settimanali (originalissimi, peraltro, quelli sui fumetti e sulla geopolitica). Ora, invece, la nuova conversione digitale evocata del capo spetterà a Emiliano Fittipaldi, storico e cazzuto inchiestista dell’Espresso, autore di tomi preziosi sugli scandali vaticani e non solo, e già vice di Feltri medesimo dalla fondazione del quotidiano.

Fittipaldi è di una dozzina d’anni più vecchio di Feltri –rispettivamente 49 e 37 anni- ; appartiene alla vecchia scuola, avrà bisogno di un editor digitale e di una buona truppa di Seo per spiccare il volo in Rete. In bocca al lupo. Epperò, sembra che, a parte un naturale spostamento dall’analisi più economico-finanziaria di Feltri alla cronaca più spinta di Fittipaldi, Domani non subirà troppi cambiamenti. Resta l’assetto della direzione con i vecchi cronisti, resta la linea ferocemente antigovernativa. E restano, ovviamente, i bilanci in perdita: l’ultimo marcato da 7,2 milioni di euro di costi a fronte di 4,5 milioni di valore totale della produzione. Si dovevano ripianare i debiti, come insisteva Feltri; e De Benedetti alla fine l’ha accontentato, cominciando proprio dallo stipendio del suo direttore.

IL CASO FONDAZIONE
L’Ing, per far partire l’avventura del giornale, aveva investito 10 milioni di euro. Non pochi. L’ambizione, neanche troppo nascosta, era quella di occupare gli spazi lasciati liberi da Repubblica, passata alla Exor e al Gruppo Gedi di John Elkann. De Benedetti aveva annunciato anche la nascita di una Fondazione a cui attribuire la gestione della testata in forza di una migliore indipendenza dell’editore stesso dalle notizie, ma la fondazione è rimasta lettera morta. Domani non s’è mai fatto rilevare le vendite da Audipress. Però -bisogna dirlo- ha raccolto notevoli apprezzamenti per serietà, capacità d’analisi e d’inchiesta, visibilità; ma è rimasto in un mondo di nicchia. Feltri ha provato a fare un giornale rigoroso, approfondito, autorevole pur nella militanza spesso estenuante, alto (troppo alto, a volte): comunque un’anomalia nel panorama editoriale italiano.

Ora, da ieri i rumors sui destini attorno al giocattolino dell’ingegner Carlo vorticano impazziti. E noi non sappiamo perché si sia «rotto il rapporto di fiducia tra due caratteri, diciamo, forti» (affermano dalla redazione) cioè tra editore e direttore. Non sappiamo neppure se c’entrino –come sostengono altri- l’influenza di Antonio Campo Dall’Orto in cda o gli sguardi in tralice di Luigi Zanda; o se davvero, dei 10 milioni stanziati dalla fondazione del quotidianio nel 2020, ne siano rimasti appena 5,7; nè se Fittipaldi abbia avuto assicurazioni per una copertura finanziaria a lungo termine, e che il vecchio non dia fuori di matto. Ma se Carlo De Benedetti, coi tempi che corrono, si aspettava davvero di fondare una nuova Repubblica e di trovare un nuovo Scalfari,e di dettare l’agenda alla politica e di guadagnarci pure; be’forse ha sbagliato valutazione. Oddio, non che non gli capiti spesso...

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