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Gene Gnocchi sull'alluvione: "Solo grazie alla freddezza di mia moglie..."

Leonardo Iannacci
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C’è veramente poco da ridere in questi giorni, a casa dell’avvocato Eugenio Ghiozzi, in arte Gene Gnocchi. Sono ore in cui le vicende dell’uomo non possono che predominare quelle dell’artista. Gene e i suoi cari sono ancora alle prese con l’inondazione disastrosa che ha devastato Faenza, dove ci siamo recati: centinaia di persone sono state travolte dall’acqua.

Gene, anzi Eugenio: avresti mai immaginato una roba simile nella Romagna tua?
«Io sono nato a Fidenza, sono parmigiano ma ormai vivo qui a Faenza da anni e la Romagna è un guscio che sento mio. Stasera sono a Portogruaro per andare in scena a teatro con il Movimento del nulla, la pièce con cui sono i tour. Ma il cuore è a Faenza».

Come hai vissuto quegli attimi di terrore?
«Male. Il giorno della grande alluvione mi trovavo a Roma per lavoro quando è arrivata la segnalazione che il quartiere vicino a casa nostra, a Faenza, si stava allagando. Ero a Roma negli studi di Quarta Repubblica e non riuscivo a comunicare bene con mia moglie, i telefoni prendevano male. Per fortuna lei ha avuto la freddezza di recuperare le bambine e portarle via, dai nonni».

La paura e l’ignoto: sensazione terrificante?
«Una sensazione pazzesca. L’inondazione del fiume Lamone, quando sono tornato a Faenza, era arrivato a sei metri. Grazie al cielo, l’acqua si è fermata e in casa abbiamo avuto danni lievi. Ho amici qui a Faenza che hanno perso tutte le cose più care che avevano».

E adesso?
«Quando diciamo che questa regione non è abituata a chiedere, ma a rimboccarsi le maniche è vero, però mai come in questo momento siamo soli, non ce la possiamo fare. Abbiamo un disperato bisogna di aiuto».

È stato fatto tutto il possibile da chi aveva le competenze alla salvaguardia idrogeologica?
«Non è il tempo delle polemiche ma dico questo: Bonaccini, che stimo, sarebbe un ottimo commissario per affrontare questa emergenza ma se mettono uno migliore di Stefano, ben venga. Qui c’è bisogno di un fuoriclasse dell’emergenza, Bonaccini o un altro».

Gli angeli, seppur del fango, esistono, vero?
«Sono ragazzi fantastici, arrivano da ogni angolo d’Italia, alla sera distrutti bevono un bicchiere di vino con noi, ci danno calore. Dovrebbero far loro un monumento”.


Ti è tornata, nelle ultime ore, un po’ la voglia di pensare a cose lievi, alla leggerezza, alla satira, al sorriso?
«L’altra sera, insieme a Giacobazzi, abbiamo organizzato una serata per raccogliere fondi. Lo farei ogni sera».

Nella tua ultima pièce teatrale hai lanciato il Movimento del Nulla: di che si tratta?
«È un monologo dai contorni comici ma che riguarda assolutamente i politici visto che il sottotitolo è: “Non manterremo le promesse, ma noi ve lo diciamo prima”».

 

È una provocazione geniale...
«Mica tanto provocazione. È la discesa in campo di un movimento nuovo che porterà gli italiani finalmente a tornare a votare, visto che ormai non lo fanno più da tempo, e porterà persone come Meloni, Salvini, Schlein, Renzi, Calenda e Conte a trovarsi un lavoro vero, perché noi li spazzeremo».

Ha (ehm...) un programma questo movimento che mi ricorda un po’ i 5 Stelle?
«Gli obiettivi che enuncio a teatro sono: basta truffe agli anziani ma truffe a tutti, saremo un governo ladro anche quando non piove, ricostruiremo l’Italia abusivamente, infine lavorare meno lavorare voi».

Non hai notato che oggi i politici di ogni partito ridono di più rispetto a quelli delle tribune politiche archeologiche di Jader Jacobelli o Ugo Zatterin?
«Fanno tutti finta di essere ironici, di ridere ma solo perché gli dicono di fare così».

Una curiosità: quando l’avvocato Ghiozzi è diventato Gene Gnocchi?
«Ho bene impresso il momento preciso. Ero nel mio studio legale e avevo solo due clienti: uno di 98 anni e l’altro di 35. Morì quello di 35 e in quel momento ho compreso che l’avvocato non era il mio mestiere».

Rimpianti?
«Affatto. Semmai rimpianti per il calcio. Ho letto che Pupi Avati si ritiene un jazzista fallito, io sono un grande fantasista incompreso, un Savicevic mancato. Ho giocato in Promozione, in D. Poi mi sono allenato con un sacco di squadre di A, ero diventato l’escort dei campi di allenamento. Al Genoa ho fatto un provino con Gasperini. Poi il Parma mi fece un contratto».

Gene, sii serio...
«È così! Nel 2007 avevo 52 e venni tesserato dal Parma allenato da Ranieri. Prendevo 3.000 euro al mese e sulla maglia c’era il mio nick-name: Gnoccao».

La tua storia di attore brillante e di cabarettista surreale ha avuto la consacrazione al Maurizio Costanzo Show?
«Ero già nel cast di una trasmissione di Italia 1 che si chiamava Emilio. Con me c’erano Teocoli, Faletti, Silvio Orlando. Facevo il critico letterario inviato in mongolfiera. Costanzo mi notò».

È stato anche il tuo pigmalione?
«Lo ricordo con immenso piacere: era di una generosità unica, aveva intuito e ti lasciava tutto lo spazio necessario nel suo show. Fatto raro in una televisione nella quale tutti rubano a tutti le inquadrature. Non esiste più un Costanzo, oggi.
Era unico».



Amici nel mondo dello spettacolo?
«Teocoli è un fratellino. Generoso, altruista anche lui, se capiva che una battuta poter venire meglio in bocca a te, non te la fregava».

Il mondo della televisione è una giungla?
«Basta selezionare le persone. Voglio molto bene anche a Simona Ventura con la quale ho fatto un Quelli che il calcio fantastico ma difficile. Venivamo dopo Fazio e abbiamo dimostrato che il programma poteva continuare alla grande. Un altro amico vero è Gerry Scotti».

C’è un nuovo Gene Gnocchi in giro?
«Non lo vedo. Sono unico, come era Savicevic. Forse è una fortuna per il pubblico, no?» Hai girato persino un film con Lina Wertmuller, nel 1998: ti eri montato la testa? «Il desiderio di capire come si doveva muovere un attore sul set di Lina, c’era. Purtroppo il film, che aveva il solito titolo chilometrico stile Wertmuller (Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica), si rivelò francamente poco riuscito».

Cosa bolle nella pentola di Gene Gnocchi? Tv? Ancora teatro?
«Ho un progetto ambizioso: creare un programma televisivo dove addestro gli opinionisti. Una scuola semiseria, anzi scemiseria con opinionisti alle prime armi. Insegnerei loro come diventare esperti virologi, esperti del Grande Fratello, esperti di omicidi per tutti quei programmi che trattano serial killer e delitti, esperti di calcio. Lezione 1: come interrompere chi sta parlando».

Per il Master chiamerai come professore emerito Vittorio Sgarbi?
«Ah, Vittorio è una pietra miliare del genere. Il Savicevic degli opinionisti. Ma anche il dittatore dei decibel».

Gene, anzi Eugenio, ci saluti Faenza e la tua Romagna?
«Come non potrei?».

 

 

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