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Maurizio Landini? Non solo il portavoce: Cgil, chi ha licenziato

Maurizio Landini

Francesco Specchia
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C’è una perversa fascinazione nel Maurizio Landini talmente invaso dall’ossessione dei licenziamenti da diventare -probabilmente per osmosi- di quegli stessi licenziamenti un campione. Mentre il segretario Cgil ritiene, giustamente l’esonero dal posto di lavoro «uno sgretolamento del tessuto sociale» e «un imbarbarimento delle relazioni umane», e minaccia scioperi contro la legge finanziaria ancora da scrivere; bè, ecco che il suo sindacato si conferma, in tutt’Italia, allegro luogo di presunti demansionamenti, mobbing e licenziamenti in tronco. Prima venne il caso del portavoce Massimo Gibelli (licenziato a due anni dalla pensione «per giustificato motivo oggettivo, non col Jobs Act, e perché non avevamo più bisogno della sua figura, è un lusso che non possiamo permetterci», afferma il segretario, senza fornire ulteriore spiegazione).

TUTTI A PALERMO - Oggi, ecco una serie di denunce che seguono la scia imbarazzata di una Cgil somigliante sempre più a un covo di Confindustria. Il Riformista si sta sbizzarrendo nel penetrare il lato oscuro del difensori dei lavoratori, citando la Filcams di fatto il sindacato per i dipendenti Cgil (che non si è mai rivelato un mostro d’efficienza). «A Palermo sta andando avanti, seppur a rilento, la causa di lavoro intentata da Enza Renna. La donna, per 35 anni dipendente, ed infine dirigente della Camera del lavoro del capoluogo siciliano, è affetta da una malattia che la costringe a curarsi», scrive il quotidiano di Andrea Ruggieri. Il segretario generale della Cgil di Palermo, Mario Ridulfo, le ha comunicato il licenziamento lo scorso 14 ottobre.

 

 

«Provvedimento insindacabile, atto finale di una serie di comportamenti intimidatori, ritorsivi e persecutori». Cioè: qui la Cgil è il cattivo datore di lavoro che fa fuori una dirigente donna. Malata. Il Giornale di Sicilia ha titolato: «Cgil licenzia una dipendente con una Pec, aveva osato chiedere il rispetto dei diritti». Poi c’è la storia di Antonella Granello, licenziata su due piedi dalla Cgil di Trapani: la donna sta pensando di promuovere un coordinamento di sindacalisti licenziati dal sindacato. E ancora, ecco apparire dall’oblio Francesca Carnoso, compagna della Fisac Cgil, «rimossa dal suo precedente incarico nazionale, privata di ogni agibilità sindacale» e ora «sotto processo» in commissione di garanzia. A sua difesa, in Rete circola un manifesto di col- leghe inferocite.

E prima ancora, tutti conoscevano, a Taranto, la vicenda di Iginia Roberti, 56 anni, con madre malata e fratello disabile, da 34 anni funzionaria della Cgil. Iginia racconta: «Dal 1985 al 1993 sono stata nella sede provinciale, poi sono passata alla Fillea, il sindacato Cgil dei lavoratori di edilizia e legno, che ho contribuito a fare crescere». Iginia è stata colpita dal fulmine: licenziata, senza preavviso, dal sindacato che s’è appellato espressamente proprio a quel Jobs Act che Landini vuole cancellare. Una forma di ipocrisia giuridica che, per la verità ha radici antiche: per anni i sindacati hanno difeso alla morte lo Statuto dei lavoratori. E questo pur essendo tra gli enti costituzionalmente preposti a violarlo, potendo licenziare i dipendenti con un semplice sms senz pena nè rimorso. Eppure, da anni, le vittime –date un’occhiata, all’impressionante profilo Facebook “Licenziati dalla Cgil”, 2500 iscritti- invocano la disposizione mai eseguita della Costituzione: una legge quadro «sulle prerogative del sindacato con una norma che stabilisca la regole delle trasparenza nelle spese delle contribuzione dei lavoratori». Pochi ricordano che i contratti collettivi rinnovati per la vigilanza privata della cooperativa Servizi Fiduciari Sicuritalia sono stati firmati da Cgil, Cisl e Uil, a 6 euro l’ora, ossia 3 euro sotto quel salario minimo di cui la Cgil ha fatto la sua bandiera antigovernativa.

 

 

MEGA STRUTTURE - Nel profilo Facebook, dell’ex segretario della Fillea-Cgil di Napoli si legge: «Licenziata dagli stessi responsabili che scendono in piazza, indossano lo zainetto, alzano il pugno e cantano Bella Ciao. E dove sono i collettivi femministi e i movimenti di liberazione delle donne?». Già, dove sono? Compagni che sbagliano. Un po’ troppo. La Cgil, per voce del suo ufficio stampa, ci parla di «un’organizzazione complessa con più di 5 milioni di iscritti, Camere del lavoro, strutture tecniche per ogni categoria merceologica. Fiom, Filt, Slc, millecinquecento codici fiscali, ecc: e ciascuno di essi ha una propria autonomia». E sta bene. Ma non si può proprio sentire un sindacato che licenzia a piacimento, impunito, sfruttandola legge; ma che nel contempo vuole bloccare l’Italia se i licenziamenti li minacciano gli altri. «Be’ Landini non può tenere tutto sotto controllo» ribatte la Cgil. Certo. Basterebbe, che Landini guardasse in casa propria; si prendesse un Tavor; e si lasciasse finalmente attraversare dall’ossessione. Poi parliamo di piattaforme programmatiche...

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