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Tex Willer, il nostro Clint Eastwood, un vero conservatore

Tex e i suoi pards

Un francobollo celebra il compleanno dell'eroe dei fumetti che ha accompagnato tre generazioni attraverso la storia d'Italia. Morale di ferro, mira infallibile, difensore di terra, donne e legge

Francesco Specchia
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Difficile contenere un mito nazionalpopolare munito di cappellaccio Stetson e colt 45 su cavallo rampante con sfondo la Valle della Morte, nell’angusto spazio di un francobollo 30X40 mm. Eppure, da oggi, l’emissione del valore bollato di Tex Willer in ottocentomilatrentré esemplari rappresenta il sigillo istituzionale di una passione cocente.
Eppure, da oggi, l’intera penisola si scappella per il 75° compleanno di Tex e dei suoi pard, Kit Carson, Tiger Jack e il figlio mezzosangue Kit, concepito con la figlia di un Sakem in una riserva indiana. Tutti noi eleviamo al cielo la grande saga fumettistica che sarà celebrata martedì prossimo in un happening alla Rinascente di Milano, chez la Sergio Bonelli Editore. Si tratterà di un evento pop che odora di spaghetti, sangue e polvere da sparo oltreché, nell’ottica di un conservatorismo contemporaneo, di un Dio-patria-famiglia mixato a un ecologismo alla Roger Scruton (anche se il mio amico Sergio Bonelli, dal paradiso dei geni editoriali, mi rimbrotterebbe al ritmo swing dei suoi Juke Box Wurlitzer da collezione). Insomma, in alto i calici di birra, e i calumet della pace, e le bistecche alte due dita con contorno di patatine fritte, unica dieta texiana che in qualsiasi altro essere umano produrrebbe epatiti e ettolitri di colesterolo.
L’AVVENTURIERO In alto i cuori. Tutti c’immergiamo nel microcosmo di Tex - lo faccio io come lo fece mio padre e come si apprestano a fare i miei figli- e godiamo ancora sfogliando albi di carta dalla grammatura grezza, delle gesta di un eroe anomalo. Tex, con Sergio Leone, è l’unico italiano che è riuscito a vendere il far west agli americani; un avventuriero dalla morale e dalla mira invincibili, doppio stipendio da ranger e capo navajo (anche qui, slancio verso le minoranze, altro che Elly Schein), ammazzatutti con l’anima immacolata di un seminarista, un po’ Clint Eastwood prima di Clint Eastwood, un po’ John Wayne padano pronto a scortare nel futuro una nazione fragile ma patriottica.
E dire che quando, il 30 settembre 1948, fece capolino nelle edicole, dopo essersi trascinato dalla Monument Valley al Rio Bravo, Tex era tutt’altro che un successo annunciato. Il suo creatore Gianluigi Bonelli, milanessissimo, si distingueva come lo sceneggiatore principe del fumetto autarchico, ma piaceva al Duce a fasi alterne; indossava una Magnum 44 sotto l’ascella e un volto da divo hollywoodiano e nell’immaginare il ranger disegnato dal sodale Galep, voleva soltanto omaggiare il suo divo western preferito, Gary Cooper. Dopodiché il fenomeno è esploso, si è trasformato. Secondo la studiosa americana Elizabeth Leake, a capo del dipartimento di italianistica della Columbia University e autrice del saggio storico-sociale Tex - Un cowboy nell’Italia del dopoguerra (Il Mulino) Willer nasce dalla ricostruzione post-bellica del piano Marshall; attraversa il neorealismo e gli anni di piombo, il divorzio e il compromesso storico; incoccia nell’edonismo craxiano e sfiora Tangentopoli e ne esce intonso; cavalca nel nuovo millennio al galoppo del successo di milioni di copie vendute, strappato per qualche decennio all’attenzione dei giovani solo dal collega Dylan Dog.
Il fenomeno Tex ha un’infinità di angolature. Col c o m pianto Giulio Giorello, filosofo della scienza, suo fan sfegatato - come molti insospettabili tipo Cofferati, Bertinotti, Eco, Pelù - discutevamo, appunto, sulle ascendenza politiche del nostro eroe.
Era di sinistra per via del rispetto delle minoranze e antimilitarista contro i colonnelli guerrafondai e i burocrati di Washington? O era di destra tutto legge-e-o r d i n e, quando si trattava di insaponare il cappio di ladri, assassini e Apache ribelli? Nel film-documentario Come Tex nessuno mai di Giancarlo Soldi, per esempio, si rivelano i brani nascosti dell’Istituto Luce inneggianti agli elenchi dei fumetti “da non leggere” appesi nelle parrocchie e nelle sezioni del Pci anni 50, e Tex era nella black list.
Quando io e Giorello glielo facevano notare Sergio Bonelli sorrideva: «Siccome l’omicidio era vietato, i cattivi li facevamo precipitare nei burroni, o mordere dai crotali, le minigonne s’allungavano sotto il ginocchio e il massimo della parolaccia era “accipicchia”», mi diceva Sergio, ricordando che, durante il Ventennio, il padre faceva 3-4 viaggi all’anno per sottoporre le sue tavole al Minculpop, anche se poi gli attacchi più mirati vennero dalla Chiesa, Togliatti e Nilde Iotti.
Alla fine, dopo ore di acceso dibattito in stile Ok Corral, propendevamo per il fatto che, nel suo collegio del Nevada, probabilmente Tex votava repubblicano. Ricordo nel 2012 perfino un coming out di Bernardo Bertolucci: da sempre Tex era il suo sogno proibito. Da esponente, negli anni 70 di una sinistra rivoluzionaria, Bertolucci riteneva che il ranger fosse la cura contro il conformismo saccente della vecchia intellighenzia Pci. Ma Tex è, soprattutto, avventura pura.
È i duelli al sole, i giri di poker, le magie crudeli di Mefisto, i villaggi liberati dagli sceriffi corrotti da latifondi prepotenti, le donne rispettate ma mai - dico mai - viste come oggetti sessuali -; è il senso dell’onore, appunto alla John Wayne (il western preferito di Sergio Bonelli che ereditò la baracca dal padre e dalla madre Tea a 25 anni e la rese un impero, era L'uomo che uccise Liberty Valance di John Ford).
Tex è talmente penetrato nell’immaginario (libri, tesi universitarie, radio, un film Tex e il signore degli abissi con Giuliano Gemma di Duccio Tessari, a rivederlo oggi con un certo fascino camp) da rendere il suo editore quasi come uno di famiglia. Sergio Bonelli, un grande amico. A lui è legata parte della mia vita professionale. Bonelli, scomparso troppo presto listando a lutto tre generazioni di texiani, è stato per l’Italia quello che Frank Capra fu per il new deal rooseveltiano. Il colpo di lombi nei momenti di crisi e la speranza in un futuro in cui non fosse necessario l’arrivo del 7° Cavalleggeri. Sergio aveva una profonda cultura ma anche, spesso, l’aria sdrucita con quella sua Panda usata e l’impermeabile da Tenente Colombo; aveva ossessione che, dopo di lui, sulla sua azienda si sarebbe abbattuta l’apocalisse. Invece la Bonelli Editore è in perfetta forma grazie a chi ne ha raccolto il testimone - il figlio Davide Bonelli, che ricordo bambino, Simone Airoldi, Michele Masiero. L’insegnamento è quello di Sergio che si stupiva sempre quando lo fermavano per ringraziarlo dei sogni dispensati o gli accorciavano la coda per una lastra in ospedale. Diceva: "Perché dovrei vantarmi? Faccio fumetti, mica ho inventato la penicillina, o la Coca Cola..."

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