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Francesca Albanese "non è imparziale", il big del Pd che imbarazza la sinistra

 Francesca Albanese

Francesco Specchia
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Roma, Commissione Esteri della Camera, un afoso 6 luglio 2022. È in corso, via Skype da luogo remoto, la vibrata (per lei) ma torpida (per gli altri) audizione della nostra Special rapporteur dell’Onu preferita sui «diritti umani nei territori palestinesi occupati dal ’67». Francesca Albanese. Non ancora immersa nell’idromassaggio ideologico dei talk show.
Appena l’oramai stranota “Relatrice” delle Nazioni Unite termina la sua prolusione, ecco che il presidente della Commissione, l’affilato Piero Fassino sbuffa dietro la mascherina. E le risponde con un intervento gentilmente dinamitardo. 

«Io ho ascoltato la dottoressa Albanese, nel rispetto di tutte le valutazioni; mi permetto di dire che però, dottoressa, un rappresentante delle Nazioni Unite ha un dovere di maggiore terzietà di quello che lei ha espresso nel suo testo che rispetto. Ma che ho trovato una lettura unilaterale», dice Fassino rivolto all’accorata Relatrice.

 

 

IL CONFRONTO - «Credere di risolvere questa vicenda così complicata soltanto sulla base di principi di diritto e legalità che pure sono importanti, è un’illusione astratta, perché c’è la politica. E i conflitti si risolvono soprattutto con la politica. Non è che se domani mandiamo davanti al tribunale penale internazionale tutto il governo israeliano, domani c’è lo Stato palestinese», aggiunge il dirigente del Pd. Segue acceso botta-e-risposta tra i due.

Con Albanese che si domanda: «Com’è possibile che si addivenga ad uno Stato palestinese se negli ultimi cinquant’anni quello che Israele ha fatto, in nome della propria sicurezza, è avanzare la colonizzazione della Cisgiordania?». E Fas sino che pazientemente le risponde: «Ma lei sa benissimo che in questi cinquant’anni ci sono state cinque guerre, ’48, ’56, 67, 73, 82, quattro Intifade: la materialità di quel conflitto è questo. Se noi non ci misuriamo con questa complessità diventa tutto facile: basta che Israele - come lei ha detto- a un certo punto: Israele si ritira dai territori occupati, torna ai confini del ’67, smantella tutte le colonie (con tro cui io mi sono sempre battuto), è tutto è risolto. Fosse così semplice ma mi pare che non sia così semplice, purtroppo...». Albanese tenta di ribattere citando la situazione dell’Ucraina, e « se si avanza il rispetto del diritto non sarebbe così complicato» .

 

 

E Fassino, di nuovo, freddissimo, giù col machete: «Poi chiudiamo perché abbiamo opinioni diverse ed è difficile comporle; c’è stato il fatto di non riconoscere a Israele il diritto ad esistere, che è una delle ragioni delle guerre». Albanese: «Israele fa parte della comunità internazionale dal 1942». Fassino: «Ma il problema non è quello, lei m’insegna che è importante che lo riconoscano i suoi vicini: non è importante che Israele sia riconosciuta dal Brasile perché è con quei vicini che ha avuto cinque guerre». Finisce con la relatrice che si sente «sul banco degli imputati». E con Fassino che rintuzza: «Se uno non è d’accordo con lei viene messo sul banco degli imputati?», ribadendo l’assoluta «mancanza di terzietà» della rappresentare Onu. La qual cosa, per inciso è esattamente quella che va predicando Libero. Scriviamo da giorni sulla mancanza di terzietà e imparzialità della Relatrice. E lo facciamo sulla base di un documento UN Watch, mai smentito, configurante il possibile conflitto d’interesse sul ruolo del marito di Albanese in merito a un report antisraeliano ad uso dell’autorità palestinese. Fassino, onestamente, l’anno scorso aveva addirittura anticipato l’UN Watch. Che la signora non fosse imparziale e fosse un tantinello illivorita verso Israele, be’, forse si vedeva ad occhio nudo e istituzionale.

LAPIDAZIONE SINISTRA - Fassino - comunque la si pensi, un galantuomo- allora, per quella semplice e attenta constatazione venne lapidato. Lapidato da sinistra, la sua parte politica. Il Manifesto lo ritenne un pericoloso sionista, rovesciandogli la responsabilità della stessa imparzialità da lui riscontrata nella consulente Onu. Gi fu attivata contro, addirittura, una (inutile) raccolta firme. È passato un anno. Ed ecco, nell’ordine: le interrogazioni europarlamentari - le prime della Lega - per chiarire gli evidenti limiti dell’incarico dell’Albanese; e le inchieste giornalistiche un po’ perculate dall’Albanese stessa (mala capiamo) che in questo momento girella per la Nuova Zelanda; e la richiesta di sue necessarie dimissioni elencate nel dettaglio, su queste colonne, da Daniele Capezzone. Si attende il giudizio di Dio. E, naturalmente, quello dell’Onu. 

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