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Francesca Albanese, la star dei talk anti-Israele e il curriculum "sbianchettato"

 Francesca Albanese

Francesco Specchia
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Francesca Albanese, classe ’77, è un'autorevole giurista dal piglio deciso - ai limiti dell’urticante - alla quale il conflitto di Gaza ha donato un’innaturale popolarità da talk show. La dottoressa appare come ospite negli affilati contraddittori pubblici di Mediaset, Rai e La7, sulla scia degli epigoni Alessandro Orsini e l’indimenticata Elena Basile. Solo che, a differenza loro, Albanese risulta dal 2022, “special rapporteur” sul rispetto dei diritti umani, “relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati”.

LA FACCIA DELL’INDIPENDENZA
Sicché ogni volta che critica Israele Albanese è coperta dal suo ruolo di "esperto indipendente" Onu, e quindi ogni sua analisi risulta formalmente sopra le parti e benedetta dal Palazzo di vetro. Il suo ruolo richiede massima trasparenza e onestà al sopra d’ogni sospetto. Perciò stona assai la scoperta fatta dall’United Nations Watch, l’UN Watch sul fatto che Albanese avrebbe omesso di segnalare nel modulo sui conflitti d’interesse a corredo della sua candidatura, un conflitto d’interesse personale grande quanto il suo livore antiebraico: suo marito, l’economista Massimiliano Calì, ha lavorato per il ministero dell’economia dell’Autorità Nazionale Palestinese.

 

 

Il report di UN Watch indica, in modo spiazzante, anche una serie di prese di «posizione pubbliche che lascerebbero dubitare dell’assenza di pregiudizi nei confronti di Israele». UN Watch è autorevole. Come organizzazione non governativa con sede a Ginevra, monitora le prestazioni delle Nazioni Unite «secondo il metro della propria Carta». E la Carta prevede per ogni incarico Onu l’assoluta mancanza di conflitti d’interesse.

Eppure, il report suddetto s’intitola Come Michael Lynk (il predecessore di Albanese, ndr) ha fallito il suo mandato di protezione delle Nazioni Unite dei diritti umani palestinesi dal 2016 al 2022 - e perché la successora designata Francesca Albanese rischia di fare lo stesso. Presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nella sua 49a sessione, il report contiene notizie imbarazzanti. Sul suo modulo di domanda all’Onu, a pagina 14, «ad Albanese è stato chiesto se ci fosse “qualsiasi elemento personale o finanziario che potesse indurre il candidato a limitare la portata delle indagini, a limitare la divulgazione o a indebolire o inclinare in alcun modo i risultati; o a pregiudicare la capacità del candidato di agire in autonomia nell’esercizio del mandato».

A tutti i quesiti, Albanese ha risposto un secco «No». Epperò, prosegue il documento, «in realtà, al di là delle campagne partigiane fatte, Albanese non ha rivelato il conflitto di interessi personale: suo marito ha prestato servizio come agente consigliere economico del Ministero dell’Economia Nazionale dello Stato di Palestina a Ramallah».

Calì ha scritto per conto di Abbas un documento, I costi economici dell’occupazione israeliana per i territori palestinesi occupati, che, secondo Al Jazeera, «evidenzia la politica di “sfruttamento” di Israele nei confronti delle risorse naturali palestinesi».

 

 

Ora, sulla base della normativa Onu, Albanese, a causa del coniuge, dovrebbe essere interdetta dal ruolo; non potrebbe indagare, denunciare e giudicare tutto ciò che coinvolge l’Autorità Palestinese. L’imparzialità è essenziale, secondo le delibere 5/1 del Consiglio Onu. C’è di più. «A pagina 15 della sua domanda, l’Albanese attestava di aver inteso che “falsificare o intenzionalmente trattenere informazioni costituisce motivo per non essere selezionati o nominati o per ritirare qualunque nomina proposta o, qualora la nomina sia stata fissata ed accettata, perla sua immediata cancellazione o cessazione». Dichiarazione falsa, la sua. In America, per un curriculum sbianchettato può essere previsto perfino il carcere. Non è tutto.

PREGIUDIZIO CERTIFICATO
Il report sottolinea che Albanese, nell’ordine: ha accusato Israele di colonizzazione e violazione dei diritti umani; ha equiparato la Nakba palestinese all’Olocausto nazista; ha accusato Israele di «apartheid», «genocidio», «pulizia etnica»; nel 2019 è intervenuta a un evento organizzato da un gruppo legato a Hamas; ha attaccato «l’esistenza stessa di Israele, affermando che lo Stato ebraico è “in violazione da lunga data dei principi fondamentali del diritto internazionale”». Una moglie moderata, ispirata ai principi di moderazione del coniuge. Contattata da noi la giurista si è negata. Chissà se il Segretario generale Guter res era a conoscenza di tutto ciò. 

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