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Giovanni Battista Belzoni, l'Indiana Jones veneto che svelò i tesori di faraoni

Roberto Coaloa
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Chi ha trovato l’ingresso della piramide di Chefren? Chi ha riportato alla luce il tempio di Abu Simbel? Chi ha scoperto la tomba di Sethi I? Chi ha ritrovato la città di Berenice sul Mar Rosso? È stato un gigante italiano, di oltre due metri, con passaporto inglese, fulvo, barbuto, con occhi azzurri ed elegante portamento: Giovanni Battista Belzoni, nato nella Repubblica di Venezia il 5 novembre 1778. Di Belzoni si conosce la biografia, che ha ispirato il personaggio di Indiana Jones (di cui il 15 dicembre è atteso un nuovo film) come ha confessato George Lucas. In Italia, da oltre vent’anni, Marzo Zatterin lo studia con dedizione tanto da ispirare il romanzo a fumetti di Walter Venturi, Il grande Belzoni, pubblicato nel 2013 da Sergio Bonelli Editore, le cui tavole sono esposte a Palazzo Zuckermann di Padova fino al 7 gennaio 2024. Non solo: Zatterin ha proposto anche la prima opera rock dedicata a Belzoni, scritta da Gigi Venegoni e Sandro Bellu.

A TUTTO ROCK
La «Banda Belzoni offre un viaggio musicale di rock classico e a tratti prog, aperto a numerose influenze e l’ausilio di altri musicisti, come Mauro Mugiati, Sergio Ponti, Piero Mortara, Paul Mazzolini (Gazebo), Lino Vairetti (Osanna), Fabio Zuffanti (Finisterre, Hostsonaten). L’opera è uscita in cd e vinile quest’anno, bicentenario della morte di Belzoni. Un secondo album è seguito: Timbuctu. Le sorprese su Belzoni, però, non finiscono mai. Fresco di stampa, infatti, è lo studio straordinario e ricco d’inediti sul «Gigante del Nilo», che consigliamo non solo ai cultori dell’Egittologia: Gli amici geniali. La straordinaria avventura di Belzoni e Champollion, di Silvia Einaudi e Marco Zatterin, «L’Erma» di Bretschneider, pp. 156, € 25. Nel 2024 il Museo Egizio di Torino festeggia il suo compleanno: duecento anni. La collezione di Bernardino Drovetti, nucleo principale del primo museo egizio del mondo, quello della capitale sabauda, arrivò nella sede dell’Accademia delle Scienze tra la fine di marzo e l’ottobre del 1824.

«L’Egiziano» Champollion, il decifratore della stele di Rosetta nel 1822, non appena fu informato dell’arrivo a Torino delle casse che contenevano la Drovettiana, scrisse una lettera (15 febbraio 1824) a Ludovico Costa, Segretario di Stato del Regno di Sardegna, per proporsi come autore di un «catalogue descriptif et raisonné» delle antichità radunate da Drovetti e dal suo entourage in Egitto (che si scontrò, anche con l’uso delle armi, con la “banda” di Belzoni). Champollion mise piede nel palazzo dell’Accademia delle Scienze nel giugno 1824.
Fin qui la storia è nota. L’egittologa Silvia Einaudi e lo studioso Marco Zatterin, autori di Gli amici geniali, raccontano, però, una storia inedita, sconosciuta, di qualche anno precedente l’arrivo di Champollion a Torino. Tutto inizia a Parigi, nel 1822. Capita che «L’Egiziano» incontri «Il Gigante del Nilo» al 28 di rue Mazarine, a due passi dall’Accademia di Francia, dove tuttora spicca una targa a ricordare al flâneur la casa di Champollion. 

All’ultimo piano dello stesso indirizzo parigino c’era l’atelier di Horace Vernet, pittore di battaglie napoleoniche. Una galleria d’arte londinese ha rispolverato nel 2022 un olio che dichiara di raffigurare Belzoni e che gli esperti ritengono possa essere uscito dalla bottega di Vernet. Non somiglia molto all’immagine conservata fino ad oggi del padovano, ma la possibilità che qualche collaboratori dell’ artista abbia fissato a memoria le fattezze di un gigante incontrato per caso a Parigi ha tutto il senso del mondo: Giovanni lasciava il segno.

AMICI FINO ALLA FINE
Su Champollion lo fece eccome. I due stringono una forte amicizia, Champollion si definisce addirittura «chargé d’affaires de Belzoni». Il padovano, è tratteggiato da «Il Decifratore» come un «fort bon diable» (da una lettera fino ad ora inedita, ritrovata negli Archives départementales de l’Isère). Soprattutto Belzoni e Champollion organizzano una mostra parigina sulla Terra dei Faraoni. Il catalogo lo prepara Champollion. La brochure è di diciannove pagine, la copertina verde. Titolo: Description d’un tombeau égyptien découvert par G. Belzoni. Il luogo: Boulevard des Italiens, presso i Bagni Cinesi. 

Insomma, grazie agli «amici geniali», il mondo di Parigi, dal dicembre 1822, aveva potuto fare un’esperienza “virtuale immersiva” senza precedenti: entrare in una tomba faraonica, quella di Sethi I, ricostruita in scala reale e dotata di tutto l’apparato figurativo che la contraddistingueva. Una meraviglia da lasciare senza fiato. Oggi, le tavole colorate a mano che ornarono le pareti dei Bains Chinois sono al Museo di Bristol. Dopo Parigi il destino separò per sempre i due compagni. Nella primavera del 1823, Belzoni compì il suo ultimo viaggio avventuroso in Africa. Proprio duecento anni fa, il 3 dicembre 1823, morì in Nigeria, a Gwato, nel tentativo di raggiungere la mitica Timbuctu. Einaudi e Zatterin, però, immaginano, nelle pagine finali del volume, una storia diversa, nel sottile piacere dell’ucronia per capire meglio questa Storia e avere con essa un rapporto meno vincolato, meno oppressivo.

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