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Chiara Ferragni, l'avvocato: "Quali contratti possono saltare"

 Chiara Ferragni

Francesco Specchia
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La Rete non perdona, ma dimentica in fretta. Chiara Ferragni e il suo “ravvedimento” con pianto sul Pandoro a favore di telecamera se la caverà grazie alla memoria da criceto dei suoi 29 milioni di followers. Così parlò Guido Scorza avvocato, professore di “diritto delle nuove tecnologie e privacy” e componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali.

Avvocato, esploso il bubbone del pandoro griffato dei Ferragnez, quale sarà il suo impatto in termini di reputation?
«Tutto questo nasce da una decisione dell’antitrust e – data la centralità dell'impegno sociale nella comunicazione dei Ferragnez - l’impatto è senz’altro rilevante, come d’altronde avvenne nel caso di Facebook / Cambridge Analytica (dati personali di 87 milioni di account Facebook raccolti senza consenso usati per scopi politici ndr), lì la cosa fu addirittura devastante. Certo, dopo un annetto passò tutto in cavalleria…».

 

 

Be’, il caso è diverso. Qui l’influencer si gioca la credibilità con le aziende con cui vanta contratti milionari…
«Qui, rispetto al caso Cambridge Analytica c’è una persona che ci ha messo la faccia e che ha fatto del suo volto un brand, scommettendo, peraltro, molto proprio su etica e sociale. Difficile prevedere le conseguenze sul suo business specie nel breve periodo, perché gli investitori pubblicitari sono meno leggeri degli utenti nel perdonare certi scivoloni e in molti contratti di sponsorship o testimonial ci sono clausole che potrebbero legittimarne la risoluzione in ipotesi come quella che abbiamo davanti. La lesione dell’affidamento che i follower – che rappresentano uno degli asset più significativi del brand Ferragni – è stata grave: credevano, nel comprare quel panettone griffato a 9 euro, di contribuire proporzionalmente all’acquisto di materiali ospedalieri per bambini e ora scoprono che il loro acquisto è stato completamente irrilevante perché l’unica donazione era già stata fatta a prescindere dai loro acquisti e per un importo non proporzionato alle vendite. E poi la cosa è peggiorata quando si è scoperto che, dopo le pubbliche scuse e la restituzione del milione di euro in beneficenza, per la Ferragni c’era stato un precedente…».

Le uova di Pasqua. Altra beneficenza farlocca scoperta dalla tigna di Selvaggia Lucarelli.
«Esatto. Precedente che sembra pressoché identico al Pandoro. Però, ripeto: la memoria delle rete ha un doppio piano. Da un lato qualsiasi informazione resta nel web incancellabile al punto che anche noi come autorità di protezione dei dati personali siamo chiamati spesso a intervenire per garantire alle persone il diritto all’oblio ovvero a voltar pagina rispetto a momenti bui del passato. Dall’altro lato, pure se uno scandalo del genere può rappresentare una cicatrice viva nella carne dei followers, la memoria degli utenti tende comunque a sgranarsi. E bisognare chiedersi se la cicatrice si rimarginerà nel tempo».

 

 

E si rimarginerà?
«Sì, temo si rimarginerà. Oggi Ferragni ha perso solo 16mila followers. Il web è effimero e volatile in tutti i sensi, anche nel moto di rabbia verso gli influencer che deludono fingendo di fare una donazione e instillando la convinzione che, nell’acquistare un pandoro superpagato, abbiamo avuto fatto della grande operazione di beneficenza. Ai bambini malati, occhio».

Cosa significa il cambio di strategia mediatica della Ferragni: scuse in camera , occhio piangente, capelli e abiti ciancicati, versamento di 1 milione all’ospedale (praticamente ha solo girato l’assegno ricevuto dalla Balocco)?
«Quel video è una sorta di “pentimento operoso” forse era l’unica strategia obbligata per provare a uscire dall’impasse. Poi è arrivata la botta delle uova. Di solito, in questi casi, chi è nell’occhio del ciclone si ferma, mantiene il low profile, si mette sotto coperta nell’attesa della nuova occasione».

Ci sono precedenti dell'Antitrust?
«Molti, a cercarli negli archivi delle Authority. Uno dei compiti più preziosi che svolge l’autorità garante per la concorrenza e il mercato è quello di vigilare che le scelte di consumo non siano condizionate da pubblicità ingannevole o pratiche commerciali scorrette come sembrerebbe essere accaduto in questo caso. Insomma garantire che le scelte dei consumatori siano libere e consapevoli e non illecitamente condizionate magari dal pensare che attraverso il proprio acquisto contribuiscano a fare beneficenza se non è vero».

 

 

Sul caso potrebbe arrivare l’apertura di un fascicolo da parte della Procura di Milano?
«Così si è appreso ed è possibile che accada anche se va detto che i presupposti dell’azione dell’Antitrust e le conclusioni alle quali è arrivata e quelli dell’eventuale azione della Procura sono diversi. Per ipotizzare la truffa o altri analoghi reati servirebbe un accertamento sul dolo e probabilmente una querela. Certo qui la storia ricorda un po’ certe vecchie vicende nelle quali si faceva leva sulla credulità popolare dei consumatori per portare a casa vantaggi economici importanti, penso anche se storie completamente diverse alle televendite».

Crede che la Ferragni voglia davvero impugnare la sentenza dell’Authority?
«Ha dichiarato di volerlo fare. Non penso però lo farà perché rischierebbe di amplificare l’impatto mediatico di questa vicenda e allontanare il momento in cui verrà archiviata nella memoria delle persone».

In America, patria del business selvaggio, un caso simile come sarebbe stato trattato?
«Credo che La Federal tarde Commission –il loro Antitrust- avrebbe agito esattamente come la nostra Authority, forse non con la stessa velocità (noi siamo stati molto veloci ed efficaci). Idem per i paesi Ue dove vige la disciplina dei codici di consumo di matrice europea...».

 

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