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Scrivere di sesso? Difficile anche per i più grandi

Lorenzo Cafarchio
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Che cos’è l’amore? Una domanda che da millenni cerca risposte, un riscontro che diventa a sua volta un interrogativo. Vinicio Caposella nei suoi testi ebbri di vino e d’intimità se lo domanda con forza. E ci chiede di chiederlo prima “alla porta” e poi “alla guardarobiera nera/ e al suo romanzo rosa/ che sfoglia senza posa”. Bene, quindi ora fiondiamoci su Lettere d’amore. Carteggi di scrittori del Novecento (pp. 728, euro 59) edito da il Saggiatore con la prefazione di Massimo Onofri. Ci troviamo tra le mani un concentrato di sguardi persi, emozioni che diventano inchiostro, incantate vallate private e, nel medesimo istante, alla fonte della letteraria sconcezza.

Perché tra le righe delle missive ogni poeta, ogni letterato, ogni scrittore incide la sua libido che neanche Henry Miller. Lo statunitense del resto lasciava agli altri accendere fuochi, lui preferiva «infiammare una f...a». Ma qui l’autore di “Tropico del cancro”, per fortuna o sfortuna, non c’è. Diviniamo il testo quasi come fosse I Ching e lasciamo che sia il caso, anche se non esiste mai, a guidarci caso mai fossimo indecisi su quale letterato tuffarci.

Pierre Drieu La Rochelle conversa a mezzo epistolare con Victoria Ocampo e le prova tutte per dimostragli che «amarti non è stato un errore». Un intellettuale così francese, così europeo capace di farsi ammaliare dalle profonde scorrazzate dell’argentina autrice nel 1963 del testo 338171 T.E. (Lawrence of Arabia). Una cosa su tutte rapisce l’udito e l’anima dell’autore de “I cani di paglia”: la voce. «Mi ossessiona il suono della tua voce, poco fa, al telefono: la dissimulazione che t’impongo è una crudeltà».

Siamo a cavallo tra il 1929 e il 1930. E Drieu ha tutta l’intenzione di usare ogni arma per conquistare Victoria. «Vorrei scrivere un libro senza peso, che volasse tra le stelle, un lungo libro radicato nel secolo, sbocciato fuori dal secolo». Lo farà, in primis, con la sua stessa esistenza. Ma Gille, come si firma nelle lettere, conosce anche i piaceri della carne. «Ricordi certe sere e certi giorni? C’insultavamo con tale accanimento. Victoria, sei la vacca più bella della pampa, come direbbe Omero». V. però è glaciale. Lo sanno le donne che la distanza è l’arma più appuntita nel capanno del no. 

«L’incomunicabilità implica sempre sofferenza». Straziato il nostro Drieu, come a ogni capitolo dell’essenza sua. Vladimir Majakovskij invece bacia «una due tre volte» e lo fa in direzione Elsa Triolet. A dire il vero è la moscovita che mitraglia di carta l’artefice del cubofuturismo. «Caro zio Volodja, ho davvero un carattere orribile: ho voglia di scrivere solo quando mi capita qualcosa di brutto». Il gioco delle parti è qui tra vezzeggiativi e nomignoli in una danza che porterà poi il poeta della Rivoluzione d’ottobre tra le braccia di Lili Brik sorella più grande, di cinque anni, di Elsa. Questa, però, è un’altra storia. Eppure la corrispondenza non è finita, conosce sali e scendi. Qualcosa ha ceduto. «E già ai nervi più non reggono le gambe», Majakovskij autocita il suo “La nuvola in calzoni” ed esorta la Triolet a cavallo tra il 1915 e il 1917 a scrivergli.

Lei riconosce che «qualcosa è successo, qualcosa di veramente splendido», l’agitazione di Lenin ha sconvolto la Russia. Del resto non c’è niente di più poetico della rivolta che incrocia la tumultuosa sentenza della ribellione. «E tu, Volodja, che cosa hai fatto? Sei andato in giro con la bandiera?». Un bandiera divenuta parola. Allo scoppio della sommossa deflagra il futurismo russo come uno shrapnel nelle notti di guerra. Questi sono solo due delle decine di autori selezioni e inseriti in questa mirabile raccolta letteraria. Eccoli qui - oltre alla coppia che ci hanno accompagnato fino a questo momento- citati in ordine d’apparizione: Guillaume Apollinaire, Elias Canetti, Paul Celan, Jean Cocteau, Colette, Gabriele D’Annunzio, Ennio Flaiano, James Joyce, Franz Kafka, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Raymond Queneau, Erich Maria Remarque, Antoine de Saint-Exupéry, August Strindberg ed Edith Wharton. Una dialettica che conosce il sacro, il profano e le infinite sfaccettature dei sentimenti. Onofri infatti ci invita a ripescare dalla libreria “Frammenti di un discorso amoroso”, redatto da Roland Barthes nel 1977, per andare alla fonte del testo. 

E qui ci appare Ennio Flaiano nel 1936 intento a pensare intensamente, specie quando fuma Philip Morris, alla norvegese Lilli mentre trascorre giornate intere a leggere «un poeta romano dell’800, Belli». O ancora, nel 1909, un peccaminoso James Joyce esorta Nora a essere guardinga. «A tener segrete le mie lettere, sta’ attenta che nessuno si accorga del tuo orgasmo e sta’ attenta che nessuno (adesso quasi mi vergogno di scriverlo). Avevo paura, Nora, che ti riscaldassi tanto da darti a qualcuno». Forse è tutto qui, nella solennità di ogni affetto messo nero su bianco che vengono svelati gli arcani dell’adorazione. Oppure, come canta Gianluca Iannone, “in questa terra di dannati/ chissà, dove sarà il tuo cuore”. Eccolo qui nelle buste che contengono eterni epistolari di passione.

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