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Soumahoro, "suocera e cognato deridono i braccianti in aula"

Pietro De Leo
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Una risatina li auto-seppellirà. Non bastava lo scandalo giudiziario su moglie e suocera, un’inchiesta, la trovata del “diritto al lusso”, a demolire il racconto proletario-moralistico costruito intorno ad Aboubakar Soumahoro, il bracciante che volle farsi deputato. Ieri si è svolta a Latina la prima udienza che vede imputati, appunto, la moglie del parlamentare, Liliane Murekatete, la suocera Maria Therese Mukamitsindo e il figlio di quest’ultima Michel Rukundo. Specifichiamo: la responsabilità penale è personale, e Soumahoro è del tutto estraneo a questa vicenda giudiziaria.

Ma a venir via tutta insieme è, semmai, quell’epica ben accompagnata da parte della stampa progressista italiana, intorno ad un certo monopolio valoriale di solidarietà e l’accoglienza di cui Soumahoro e i suoi cari sono stati simbolo.  Le contestazioni mosse agli imputati riguardano presunte evasione fiscale e false fatturazioni che sarebbero state compiute intorno alla gestione delle cooperative Karibu e Consorzio Aid (facenti capo alle due donne), che si occupavano di accoglienza agli immigrati nella zona di Latina. Abbiamo ben visto, nel corso dei mesi, quanto questa vicenda avesse delle gravi appendici in lavoratori non pagati, ospiti dei centri tenuti in condizioni non propriamente dignitose, con il contraltare di spese di lusso.

 


Ieri, dunque, la prima udienza, dove erano presenti Marie Therese e Michel. Non Liliane, la moglie di Soumahoro. Come se già la storia in sè non destasse abbastanza sconcerto (fatto salvo il principio di non colpevolezza sino al terzo grado di giudizio, e qui siamo alle battute iniziali), ieri si è aggiunta un’altra tessera. L’ha raccontata, in una lunga nota, il sindacato Uiltucs di Latina, che si è costituito parte civile assieme ai lavoratori (costituzione ammessa). «Senza le denunce dei lavoratori, questo scandalo non sarebbe mai emerso», scrive il sindacato. «Senza il racconto della realtà sul disagio causato dalle tante famiglie a causa della cattiva gestione del denaro pubblico destinato all’accoglienza e integrazione di queste persone, oggi rinviate a giudizio, oltre alla mancanza degli enti erogatori dei progetti, i quali a nostro avviso dovevano vigilare e attenzionare, non sarebbe mai stata interrotta la cattiva gestione dell’accoglienza ed integrazione dei migranti su Latina».

 

 

Questa come premessa. E poi la denuncia: «I sorrisi e gli atteggiamenti denigratori visti oggi (ieri n.d.r) in udienza da parte di personaggi rinviati a giudizio quando si è parlato delle difficoltà dei lavoratori spiega il sindacato- sono la fotografia di queste persone, le quali dichiaravano sempre che enti non pagavano e di conseguenza non pagavano gli stipendi. La vera e cruda realtà era diversa: le risorse economiche della Karibu venivano impiegate per shopping e spese personali dei rinviati a giudizio, mentre per i lavoratori non c’erano mai i soldi». Risatine in aula, quindi? Per saperne di più, Libero contatta proprio il segretario Uiltucs Latina Gianfranco Cartisano, che conferma tutto. È accaduto questo: ieri si discuteva sulle ammissioni delle parti civili. I legali degli imputati contestavano quelle di lavoratori e sindacato. «Quando il nostro legale - racconta - per sottolineare la fondatezza delle ragioni alla base delle costituzioni, ha ripercorso l’entità del disagio causato dai comportamenti degli imputati, questi ultimi sbeffeggiavano. Qui parliamo di persone che hanno i posti di lavoro». Sorrisini. Ciliegina bacata sulla torta guasta di una storia triste. Chissà cosa ne penserebbero certi alfieri del politicamente corretto.

 

 

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