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Matteo Zuppi? Come pastore lascia a desiderare

L’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei è "prete fra la gente", ma in Vaticano serve un uomo di governo
di Caterina Maniacimartedì 6 maggio 2025
Matteo Zuppi? Come pastore lascia a desiderare

3' di lettura

«Tutti siamo figli di Dio, tutti fratelli nella Chiesa. Superiamo le polarizzazioni e custodiamo la comunione, diventiamo sempre più “una cosa sola”. Lasciamo da parte gli “ismi”: al popolo di Dio non piace questa polarizzazione». Il monito del cardinale Matteo Zuppi arcivescovo di Bologna e presidente Cei, nell’omelia pronunciata in occasione del Giubileo delle Famiglie al Villaggio senza barriere di Tolè, durante la visita lampo a Bologna è chiaro: «Evitare le tifoserie e le polarizzazioni dentro la Chiesa, tra chi è progressista o conservatore, tra destra e sinistra».

Purtroppo però il cardinale stesso è rimasto avviluppato nelle spire delle tifoserie politiche, nel suo caso specifico della sinistra. È di pochi giorni fa, tanto per essere cronologicamente aggiornati, il commento - o meglio l’endorsement vero e proprio - di Laura Boldrini: «Zuppi Papa ci piace». Del resto, «don Matteo», come viene chiamato familiarmente il cardinale, è insieme al cardinale Tagle già identificato come eredi di papa Francesco, secondo la formula, usurata e banalizzata, del “prete tra la gente”. E questo non sembra avvicinarlo molto all’identikit ideale del futuro Papa.

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Le partigianerie e le tifoserie sono al lavoro da tempo, nei suoi confronti. Certamente la sua è una figura di alto profilo, è sicuramente vicino alla gente, piace molto il suo modo di fare, spesso spiritoso e simpatico, il suo modo di vivere profondamente la sua missione; in questi giorni, ad esempio, nei giornali si è molto descritta la sua vita alla Casa del Clero di via Barberia, dove l’arcivescovo ha scelto di alloggiare quando Papa Francesco lo ha promosso alla guida della Chiesa di Bologna, ormai dieci anni fa. Suscita simpatia anche il caloroso gruppo di sostenitori speciali e di lunga esperienza, costituito dai preti che vivono con lui alla Casa del Clero. Storie e caratteristiche che lo fanno apprezzare e lo rendono popolare. Ma può bastare? E come ha ben spiegato nei suoi ultimi interventi di questi giorni il cardinale Camillo Ruini, essendoci bisogno di qualcuno in grado di saper ben governare la Chiesa, il cardinale in questione possiede questa qualità? Ruini afferma che, nonostante la sua grande vicinanza, affetto, stima per papa Benedetto XVI, quest’ultimo aveva «scarsa attitudine» al governo.

Tutte le categorie usate in questi giorni per identificare i vari “papabili” in fondo lasciano un po’ il tempo che trovano. In realtà, come sostengono alcuni analisti e studiosi, il punto è che bisognerebbe scegliere qualcuno che semplicemente fosse un Papa, senza etichette e avendo ben chiara davanti a sé la dottrina. Ripensiamo alle parole di Giovanni Paolo I pronunciate il 13 settembre 1978 durante l’udienza generale: «Quando il povero Papa, quando i vescovi, i sacerdoti propongono la dottrina, non fanno altro che aiutare Cristo. Non è una dottrina nostra, è quella di Cristo; dobbiamo solo custodirla, e presentarla. Io ero presente quando Papa Giovanni ha aperto il Concilio l'11 ottobre 1962. Ad un certo punto ha detto: Speriamo che con il Concilio la Chiesa faccia un balzo avanti. Tutti lo abbiamo sperato; però balzo avanti, su quale strada? Lo ha detto subito: sulle verità certe ed immutabili. Non ha neppur sognato Papa Giovanni che fossero le verità a camminare, ad andare avanti, e poi, un po' alla volta, a cambiare. Le verità sono quelle; noi dobbiamo camminare sulla strada di queste verità, capendo sempre di più, aggiornandoci, proponendole in una forma adatta ai nuovi tempi».

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