Non amava parlare di politica Armani, nelle sue dichiarazioni rilasciate col contagocce consigliava ai politici «di studiare il passato e di non dimenticare». Poiché, diceva, «io voglio votare sempre e solo persone che inseguono democrazia e libertà». La libertà veniva prima di tutto per Re Giorgio, nella vita come nella moda, ripeteva, la libertà è scegliere «ciò che fa sentire a proprio agio» e «fare di testa propria senza ascoltare nessuno». E così è stato, dall’alto del suo essere «preciso, pignolo, rigoroso, intransigente, costante, determinato, appassionato», come lui stesso si è definito in più di un’occasione. Per i suoi dipendenti era semplicemente «il signor Armani», perfezionista, maniaco del controllo, che amava verificare ogni dettaglio prima di ogni sfilata (se vedeva un orlo che cadeva male, poco prima di andare in passerella, si faceva passare ago e filo e cuciva all’istante) e occuparsi personalmente dell’allestimento delle sue vetrine (chi meglio di lui, che agli inizi della sua carriera aveva fatto brillare quelle della Rinascente). In ufficio ci passava anche 14 ore al giorno, sempre l’ultimo a spegnere le luci (di tutte le stanze, secondo leggenda). «Il mio lavoro è la mia vita», ma «forse sono stato troppo schiavo delle mie stesse regole», aveva rivelato negli ultimi anni. Ma era più forte di lui, anche a novant’anni compiuti, era ancora in prima linea: disegnava, decideva, approvava. Alla ricetta del «divide et impera», di Filippo il Macedone, Re Giorgio ha sempre preferito l’armonia. E i suoi collaboratori lo hanno amato tutti.
Non si è mai montato la testa, nonostante il grande successo, prima di ogni sfilata si faceva prendere dall’ansia: «Ce la farò? Piacerà o non piacerà?». Era quella sana apprensione che attanaglia solo i grandi e le persone particolarmente intelligenti. «Col tempo ho imparato a gestire l’ansia, a celarla dentro il piacere della riuscita», confidava aggiungendo che più «della fama e del denaro», ciò che gli toccava davvero il cuore era «l’affetto della gente comune». Raccontava: «Quando vado a vedere giocare il basket, c’è una fila di ragazzini che mi saluta agitando la manina. L’affetto dei giovani mi emoziona davvero». Non si è mai sentito in competizione con altri stilisti perché lui, senza falsa modestia, riteneva di rappresentare lo stile giusto. L’amicizia-rivalità con Gianni Versace, due mondi creativi a contrasto, dove Armani («eleganza è intelligenza e misura» e dunque «i cretini non sono mai eleganti») rappresentava l’antitesi dell’esuberanza barocca di Versace. Un aneddoto degli anni ’80, quando i due stilisti si trovarono a competere per vestire le star di Hollywood, svela che durante un evento a Milano, Versace scherzò con Armani, dicendo: «Tu vesti le mogli, io le amanti».
Armani rispose con il suo tipico aplomb: «Eppure, Gianni, le mie mogli sono sempre eleganti». Il genio dello stile che ci ha sempre fatto pensare che il tempo non sarebbe mai passato, qualche mese dopo aver compiuto 90 anni, per la prima volta, ha confessato di sentire il peso dell’età: «Mi sento tutti gli anni che ho». E «ho dovuto imparare a stare al gioco del tempo. Non puoi fare altro». Dormiva poco e passava le notti a rivivere i bei ricordi: «Soprattutto i finali delle sfilate in cui ci sono state delle standing ovation». Tutte le volte «che esco in pedana e vedo le persone in piedi ad applaudire le mie creazioni mi sento felice». Se ne è andato da questo mondo Re Giorgio con un unico rimpianto: «Mi sarebbe piaciuto avere dei figli, sarei stato un bravo genitore».